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Knock Off - Hong Kong Colpo su colpo
Anno: 1997
Regista: Tsui Hark;
Autore Recensione: Luca Aimeri
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 25-08-1998


Dopo Double Team, ancora Tsui Hark e Van Damme

Hong Kong - Colpo su colpo

Tit. or.: Knock Off; regia: Tsui Hark; sceneggiatura: Steven E. De Souza; fotografia: Arthur Wong; montaggio: Annellie Samuel; prodotto da: Nansun Shi; cast: Jean-Claude Van Damme (Marcus Ray), Rob Schneider (Tommy Hendricks), Lela Rochon (Karan Leigh), Michael Wong (Lt. Chang), Paul Sorvino (Johannson), Carman Lee, Glen Chin ('Skinny' Wang), Jeff Wolfe; produzione: TriStar Pictures; Usa, 1998.

Tsui Hark, regista (cfr. filmografia) e produttore di punta della cinematografia hongkonghese, si è trasferito a Hollywood dopo la riannessione di Hong Kong alla Cina. Tsui Hark, come molte altre personalità di quell'industria: John Woo, Ringo Lam, Jackie Chan, Chow Yun Fat ecc. Con Knock Off viene riproposta, quasi a ridosso della media prova precedente (Double Team), l'accoppiata Tsui Hark - Jean Claude Van Damme. A questo nucleo va a sommarsi Steven E. De Souza, sceneggiatore statunitense specializzato in actionner (cfr. filmografia). Ma ancora una volta talento visionario e tendenza all'iperbole hongkonghesi non riescono ad amalgamarsi, integrarsi, con le rigide griglie narrative del cinema statunitense. Il concept base della sceneggiatura è forte per un actionner, anche se forse ha il sapore del già visto (peraltro senza che questa impressione riesca a direzionarsi con precisione): micro bombe devastanti, grosse quanto un bottone, che proprio grazie a tali dimensioni sono facilmente celabili in bottoni di jeans, in bambole ecc. L'azione è ambientata a Hong Kong (back to the roots...), la capitale mondiale del falso, dell'imitazione: in molti dei prodotti che vengono massicciamente esportati ovunque una organizzazione terroristica ha nascosto migliaia di bombe. Innocui oggetti del quotidiano, comuni, entrano nelle case di acquirenti ignari del fatto che stanno stipando esplosivo su esplosivo nei loro armadi. Il progetto ha come obiettivo il ricatto globale, la dominazione. Doppio-giochi, capovolgimenti repentini degli schieramenti, accelerazione e proliferazione delle conseguenze a catena: una rete in cui, tra terroristi e servizi segreti, si trova invischiato Van Damme, esportatore di falsi d'abbigliamento (esplosivo), un uomo dal passato tutt'altro che limpido. Un intreccio che muove da un input chiaramente B-movie/fumettistico per poi articolarsi in una spy-story à la 007 ibridata di comicità farsesca.

Impostati gli estremi di un conflitto forte, netto, nel cinema di Hong Kong sono spesso sufficienti pochi segmenti di pausa/articolazione drammatica per spingere la storia fino all'epilogo, mentre tra questi paletti del racconto si aprono grandi spazi dedicati al conflitto inteso come azione: nelle sequenze spettacolari, costruite in un crescendo iperbolico, la macchina da presa e il montaggio diventano gli strumenti del regista per scolpire strati di significazione. Il punto di riferimento del plot a livello di personaggi e implicazioni drammatiche degli eventi diventa così qualcosa di simile al melodrammatico/romantico, scene-cerniera che sono improntate al sentimentalismo necessariamente esasperato per reggere il confronto con l'altra componente del racconto, quella action-spettacolare, che per carburare per tutta la durata del film presenta tassi di fantasia, inventiva, funambolismo, virtusosismo, che sul pubblico sortiscono effetti di "meraviglia". Cinema costituzionalmente "sopra le righe", Hong Kong, nei tentativi di fusione di comedy e drama/action-adventure, ha rispettato la formula detta: la comedy che informa il filo della concatenazione si fa comicità sgangherata, con siparietti e gags ben oltre l'insensatezza, mentre l'azione si arricchisce delle possibilità offerte dal tono dominante per spaziare decisa nel fantastico e nel magico.

La recitazione occidentale segue moduli che sono distanti da quelli orientali: addossare questi ultimi a un attore-non-attore come Van Damme raggiunge esiti deliranti, carichi di una comicità che non ha nulla a che vedere con quella delle intenzioni... Ridicolo.

Il cinema di Hong Kong ha la sua forza nelle "trovate" della sceneggiatura, non nella sua rigorosa concatenazione di eventi che, dovendosi di-spiegare, rubano spazio a certe immagini. Tsui Hark, in Knock Off, sembra costretto tra le pareti di una sceneggiatura che parrebbe già sufficientemente stringata e ricca di (s)punti esplosivi: e così il regista strappa ogni brandello possibile allo script, piegandolo alle proprie orchestrazioni filmiche degli eventi. Action plastica, acrobatica, stupefacente, frantumazione del profilmico in miriadi di dettagli, punto di ripresa che rimbalza tra esplosioni e pallottole, montaggio che centrifuga (fino a sciogliere ogni grumo) un cocktail d'adrenalina e effetti speciali. Ma sotto questa lava resta intrappolata la sceneggiatura, il suo rigore: film tutto in salita, con tanto ritmo da annullarlo, in cui la spettacolarizzazione del momento informativo porta il dato a perdersi, la texture della sceneggiatura si dissolve e la storia risulta così ben più ingarbugliata di quanto probabilmente non fosse già sulla carta. Non restano che fiammeggianti immagini in movimento che, non avendo contrappunto, risultano anestetizzanti.

A oggi (08-'98) l'unico regista hongkonghese che, nell'action-adventure, sia riuscito, dopo un primo disagio, a raggiungere il compromesso con Hollywood con risultati ottimi, resta John Woo con Face/Off - Due facce di un assassino (Face/Off, sceneggiatura di Mike Werb e Michael Colleary, 1997).