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Al Qahira Thalathin Cairo 30
Anno: 1966
Regista: Salah Abu Seif;
Autore Recensione: Sergio Mangano
Provenienza: Egitto;
Data inserimento nel database: 17-01-2001


Il Cairo

Al Qahira Thalathin Cairo 30
Regia: Salah Abu Seif
Sceneggiatura: A. El-Zurkani, W. Kahiry, Nagib Mahfuz, dal romanzo di Nagib Mahfuz, Cairo Nuova
Fotografia: Wahid Farid
Montaggio: S. Al-Chaykh
Musica: F. Al-Dahiri
Interpreti: Souad Hosny, Ahmad Mazhar, Hamdi Ahmed, A. A. Mekawy, A. M. Ibrahim
Egitto, 1966, 135 min.
visto al Cinemamed. Il Cinema dei Paesi Arabo Mediterranei. Palermo 11-18 gennaio 2001
Retrospettiva: Il Cairo, una città illuminata dai suoi registi

Nell'Egitto degli anni della dominazione inglese convivono, in contraddizione, le speranze di rivalsa di un popolo dominato da una doppia tirannide - quella inglese, appunto e quella del governo locale - e la miseria che questo popolo deve affrontare per sottrarsi all'accondiscendenza nei confronti dell'avanzata dell'occidente capitalista. Da un lato la necessità di adattarsi per riuscire a sopravvivere, per non morire di fame, dall'altro la volontà di tenere alta l'attenzione sociale per spezzare le catene del potere.
Questo è Il Cairo. Un film in cui una giovane e bella donna è costretta a sacrificare il suo amore per accontentare il "capriccio" di un uomo politico e poter così evitare che i suoi piccoli fratelli finiscano per strada a chiedere l'elemosina. In cui uno studente universitario pur di raggiungere una posizione di prestigio abbandona la propria famiglia ed accetta un matrimonio di comodo, proprio con la giovane donna che "sazia" i desideri del potente politicante. Ma c'è anche la resistenza, la volontà di sottrarsi e smascherare la meschinità e i soprusi su cui si regge il governo. È la speranza di un altro giovane studente che è disposto a sacrificare anche il suo amore - la giovane donna che finirà tra le braccia del potere - alle idee ed al socialismo. Un uomo che legge Kant e che tenta di farlo leggere anche alla sua donna.
Salah Abu Seif porta sullo schermo nel '66, un frammento della storia degli ultimi decenni del suo popolo, e lo fa mescolando il registro drammatico, talvolta al limite del lacrimoso seppur mai patetico, ed il registro farsesco. Lo fa con sguardo severo quando inquadra le anguste abitazioni della povera gente, relegata a vivere in veri e propri tuguri, e con irriverenza quando pone davanti al suo obiettivo la degradata e decadente "classe" dominante - adoperando frequentemente la soggettiva per spiarne quasi le abitazioni
Seif dimostra che le parole non sono soltanto "parole", ma che dietro di esse vi sono delle idee e della vita, e che lottando, resistendo si può tradurle in realtà, poiché Kant e le sue idee non sono come le ciliegie - come sostiene la giovane donna ammaliata inizialmente dallo splendore del lusso - ossia, "cose che si trovano soltanto nei libri".