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Io amo Andrea
Anno: 1999
Regista: Francesco Nuti;
Autore Recensione: Luca Bandirali
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 18-01-2000


Io amo Andrea

Rientra nel giro in sordina, Francesco Nuti, protagonista di altre stagioni del cinema italiano. Fu condannato al successo, e poi mandato in esilio da un fiasco, Occhiopinocchio. Nuti è un autore di commedie egocentriche: e Io amo Andrea è un film che ne asseconda le abitudini (e le manie). Un triangolo amoroso: un uomo solo, e due donne in coppia. Da un punto di vista narrativo, è questo il recinto in cui l’autore di Io Chiara e lo Scuro scorrazza da sempre: qui però domina, più del solito, il disegno (insano) di farsi corpo cinematografico, di annullare le distanze tra biografia dell’autore e biografia del personaggio; guardando la piccola Ginevra Nuti nel ruolo di se stessa viene in mente Pietro Moretti in Aprile. Ma lì la vicenda privata era l’unità di misura della Storia; Io amo Andrea è un autoritratto con le tracce di realtà che si perdono nel vaniloquio. Il senso del tempo pare la preoccupazione più grande del regista toscano: date, orologi, didascalie cronologiche. E soprattutto riprese in continuità: lo stacco netto è rarissimo, a prevalere è il legame transitivo fra le inquadrature, con traiettorie sinuose e eccezionalmente lunghe. Ne soffre, a tratti, il ritmo: questi carrelli orizzontali di quaranta metri che perdono di vista l’attore si fa proprio fatica a seguirli (e perché seguirli, poi?).

Egocentrico, si è detto: come quando prova e riprova le battute da dire alla donna amata (lo faceva in Caruso Paskosky e in Son contento); come quando si concede l’onnipotenza del dolly (praticamente ovunque) o della messa in scena (che la Bignardi direbbe "felliniana") del nascondino in maschera. Sul doppio livello del linguaggio e del racconto ci confrontiamo con un uomo pieno di sé: Francesco Nuti che gira di nuovo la gag dell’appuntamento in bagno che si chiude col pugno alla malcapitata signora (sempre Caruso); il suo personaggio che, nella confusione di una strada, con un battito di mani chiede ed ottiene il silenzio dalla folla rumorosa che lo attornia. Niente di male se questo stile barocco (anzi rococò) non fa corpo col racconto, sfilacciato e insieme verboso: il problema è che il film di Nuti, nel complesso, è fatto di niente.

Quasi prepotente il regista, ma in disarmo sul lato dello humour che l’impose a suo tempo; a disagio l’attore, che ha perso confidenza col pubblico.