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Inquietudine
Anno: 1998
Regista: Manoel de Oliveira;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Portogallo;
Data inserimento nel database: 12-08-1999


Inquiétude
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Inquietudine


Regia: Manoel De Oliveira
Sceneggiatura: Manoel De Oliveira
Fotografia: Renato Berta
Montaggio: Valérie Loiseleux
Suono: Philippe Morel
Direzione artistica: Isabel Branco
Produttore: Paulo Branco
Produzione: Madragoa Filmes, Gemini Films, Wanda Films
Distribuzione: Mikado
Formato: 35 mm.
Provenienza: Portogallo
Anno: 1998
Durata: 95'
Irène Papas
Luis Miguel Cintra
José Pinto
Leonor Silveira
Dioga Dória
Leonor Baldaque
Ricardo Trepa
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L'immortalità c'est qu'un détail, per i predestinati.

E diventa anche pre-testo per una lunga teoria di trattatelli filosofici semiseri e talvolta pedanti che fanno da corona ad una costruzione di pensiero lieve, ma incentrato su alcuni elementi che preludono ad un sistema fondativo imperniato sui classici fattori oppositivi ("Se la morte ci dà l'eternità, le donne ci danno la vita."), in questo caso tesi a confondersi (le figure femminili hanno legami strettissimi con la morte: la Favola della Madre del Fiume fa si che tutto si collega nel silenzio della morte, da lì nasce in noi il senso del mistero.); approcci sempre devoti di una liricità eclettica, improntati a quel gusto neoromantico che pervase la cultura lusitana all'inizio del secolo, già saccheggiata in Francisca vent'anni fa.

La morte si prospetta in opposizione con la sua negazione da conseguire attraverso il suo paradossale passaggio intervenuto precocemente e serve a comporre la ben più grave divisione interna al soggetto, che si configura come tale soltanto nella sua lotta contro il mostro creato in lui a seguito della luce mondana riflessa dall'apparenza di quello che non è e da cui bisogna distinguere l'ente. Sotto questo punto di vista si direbbe dunque che proprio il velo di Maya sia oggetto di analisi del regista, che indicando in Susy componenti apollinee preponderanti, offre una bella rappresentazione dell'idea nietzschiana del rapporto tra dionisiaco e apollineo, proponendo un esempio di conseguimento di un'unità non metafisica tra le due componenti: lei, per antonomasia la vestale dei piaceri voluttuosi, nasconde il rigore ed il piacere del sacrificio ("Non mi lamento mai della mia vita. Al principio mi sento male, senza più forze, ma poi vengono tutti e allora mi prende un'estasi. Provo il piacere doloroso di essere umiliata, quasi non potesse esistere un destino migliore e godo").

Il personaggio di Susy dimostra l'inconsistenza di quella parvenza nella sequenza in cui pronuncia la battuta: "Ho tutto tranne la felicità. È un dettaglio". La composizione è sintomatica: la donna è ripresa frontalmente, seduta; poi esce fuori campo non a caso per pronunciare la battuta, che risulta detta sul posto lasciato vuoto dalla donna e non occupato né da soggetti né da oggetti, neanche la sedia è riconoscibile come materia: c'è una macchia informe di colore verde scuro che non si costituisce come massa.

"Un dettaglio per uno scrittore è importante quanto la vita stessa per gli altri".

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Vaghi echi di stoicismo, che forse erano nascosti dal grottesco della rappresentazione teatrale pur essendo riferimenti validi per la pulsione al suicidio propagandato con lo scopo di conservare un'integrità (morale si direbbe, visto che alla prima battuta: "Ammazzati!" corrisponde una riproduzione di una picassiana tauromachia mitica con la presenza anche di una muliebre figura, Ifigenia?) dell'individuo, si affacciano di nuovo quando la perpetuazione e l'integrità sono affidate a materiali naturali inquadrati nelle figure e negli oggetti d'arte di ambienti minuziosi nella loro studiata costruzione, preparatori della esplicita rivelazione: "Nessuno vede Susy oltre la sua apparenza. Tu invece l'hai idealizzata nell'alabastro" ed è proprio quella la giusta percezione della prostituta, se rimane puramente personale.

Infatti l'immortalità riportata nella realtà del palco di teatro nella Oporto dei '30s diventa apparenza, un velo sottile di irrealtà data dai fondali falsi al di là della finestra rende persino più reale il mondo messo in scena fino a poco prima e concluso in modo grottesco e tragico nella pièce; però quella simulacralità nasconde l'arcano anche a sua insaputa: "La verità è inverosimile e tu sei decisamente inverosimile. Voglio chiedere ad un amico scrittore di scrivere di te", ma il compare rileva che potrebbe scrivere superficialità, non riuscendo a cogliere l'arcano nascosto dietro all'apparenza di Susy, la quale non è falsa, né formale: la schiettezza ancorché inconsapevole è sintomo d'integrità, al contrario di qualsiasi moralismo imbecille, compresi quelli politicamente corretti della pelosa solidarietà umana, che deforma e quindi rende mostri, come nel rovello teatrale del padre assassino.

Alla creazione di un appiglio per fugare gli inganni dell'apparenza e riconoscere il rigore apollineo nascosto tra le pieghe della rappresentazione concorre l'evocazione di una teogonia esiodea di nuovi immortali, che devono periodicamente sostituire i vecchi dei a partire dalla consapevolezza di venire ridotti a mostri dallo scorrere del tempo, scandito e irriso dai preziosi oggetti del romanticismo portoghese, corredo indispensabile per contrastare l'apparenza: puttini manieristi, affreschi neoclassici, tendaggi neoromantici e stucchi barocchi, gli oggetti inanimati hanno conseguito dalla loro stessa natura l'immortalità e rimandano ad una lunga teoria che ripercorre ciò che ci ha preceduti (la lista di Esiodo) e distinguono lo spazio in cui agisce la leggerezza del racconto, dipanatosi attraverso temporanee rivelazioni. Gli uomini possono parteciparvi reificandosi attraverso il suicidio, il sacrificio o la custodia dello spirito, partorendo se stessi, liberi dai propri mostri. E questo si ottiene non aprendo nuove strade, ma chiudendole ("Tu stesso ti porterai via la tua gloria. É una fama che poi perderemo. Non abbiamo concluso niente: abbiamo solo aperto strade. Invece ciò che impressiona le masse è la morte").

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I custodi della verità non sono eterni. In questo si cela il tentativo apprezzabile di ricercare un'integrità immortale non fondata su una verità invariabile; la differenza verrebbe assicurata dallo scorrere del tempo attraverso gli unici momenti significativi: il cambio dei custodi, che infatti non viene ricordato dal mondo (tutti hanno dimenticato il mito di Fisalina al suo villaggio, ma le donne indossano guanti con le dita tagliate).

Nella costruzione concorrono le molteplici forme della seduzione, documentate tutte con pedanteria maniacale: "Dita e carezze frementi e vibranti nel culmine del desiderio", i due spasimanti nel locale Art nouveaux: "Cosa rappresenta Susy per te?", immediata risposta: "Per me? Per i posteri". Dunque siamo di nuovo al cospetto dell'immortalità, intesa come ponte imprescindibile verso il mondo nuovo ("Oltre il presente giace un futuro fatto di nulla"), mediata dal sacrificio e nascosta in ambiti insospettabili: la seduzione si sostituisce alla fama, preparando il terreno al destino naturale nel senso panico del termine e in piena consapevolezza che l'aleatorietà non esiste: la roulette non è truccata, eppure esce tre volte il 17 su cui Susy aveva puntato: non è un caso, è una predestinata.

Il trait union di queste affabulazioni formalmente eclettiche (una pièce teatrale, una novella filosofica e una favola) focalizzate sul destino è dato dall'anelare ad uno stato di interezza che oltrepassi la possibilità di una scissione dell'Essere, ma mentre all'inizio l'unità sembra essere una ossessione metafisica forte, l'ultimo episodio la ridimensiona introducendo quasi una sensazione di costante nascita di nuovi dei a rimpolpare la teogonia esiodea recitata da una eternamente uguale Irene Papas in greco moderno (la custodia si limita allo spirito del tempo: dunque non si ha memoria delle espressioni precedenti al sistema in corso, ma solo vaghe tracce seducenti per la loro frammentarietà sparpagliate nel mondo a cui adattiamo il nostro habitus mentis: "Come per un circo noi siamo plasmati per questa società"), una palingenesi globale inavvertibile, legata ad alcuni eventi impalpabili: le morti dei due luminari sono solo da palcoscenico, Susy non si sa come muoia ed il resto è favola, che diventa mondo vero, tanto che le riprese in esterni sono quasi esclusivamente relegate nella narrazione delle vicende di Fisalina (un nome che rimanda alla fusiV, la natura in greco), mentre nei casi precedenti gli esterni hanno un carattere quasi ferale con i freddi richiami a opere impressioniste che conferiscono paradossalmente un senso di irrealtà alla situazione (le dejeuner sur l'herbe e la gita in barca). Sempre però coincidono i momenti di riprese in esterni con l'alternativa possibile allo stato monadico a cui aspira l'immortalità ventilata in un potenziale amore che deve comunque sempre recedere di fronte alla morte (Fisalina si rivolge all'acqua profonda: "L'amore ispira il principio e la fine"), la quale coincide con la liberazione degli spiriti dalle costrizioni dell'apparenza ("Colui che è libero, non ha più un posto").

I legami tra i tre racconti sono deboli, ma intrecciano nodi filosofici importanti come Verità, Apparenza, Spirito, dimostrando come sia possibile narrare senza troppe zavorre strutturali. La leggerezza e la levità del racconto contrasta piacevolmente con i temi grevi.

Invece la distribuzione ha una volta di più operato scelte che la dicono lunga sull'impreparazione della classe imprenditoriale italiana improntata alla pirateria ignorante: il film aveva goduto della cornice spettacolare di Taormina '98, ultima versione Ghezzi. Si è atteso in modo criminale un anno per concedere spazio sul grande schermo soltanto ad agosto inoltrato. Bisognerebbe pensare a pene detentive per questi censori che aggirano lo sbandierato smantellamento della censura, trincerandosi dietro alla criminalità insita nel libero mercato.