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Al kalaa - La cittadella
Anno: 1988
Regista: Mohamed Chouikh;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: Algeria;
Data inserimento nel database: 14-01-2001


Al kalaa - La cittadella

Al kalaa - La cittadella
Regia: Mohamed Chouikh
Sceneggiatura: Mohamed Chouikh
Fotografia: Allel Yahiaoui
Montaggio: Yamina Chouikh
Musica: Jawad Fasla
Suono: Rachid Bouafia
Interpreti: Khaled Barkat, Djillali Ain-Tedeles, Fettouma Ousliha, Fatima Belhadj, Nawel Zaater
Produzione: Caaic
Origine: Algeria, 1988, 35 mm, col., 95 min.
visto al Cinemamed. Il Cinema dei Paesi Arabo Mediterranei. Palermo 11-18 gennaio 2001 - Omaggio alla Cinemathèque Algeríenne

Il riferimento al luogo, la cittadella, inscrive intimamente la rappresentazione dei sentimenti nello spazio scenico, che è metaforicamente l'universo mentale delle tradizioni coraniche. Come per altri film islamici il tema fondamentale è quello dei comportamenti derivanti dalla Regola, la definizione precisa dei ruoli maschili e femminili. Nel film di Mohamed Chouikh queste determinazioni hanno una sembianza totalmente drammatica perché riescono a rivelare nella sua brutale evidenza il meccanismo del potere. Le infrazioni, i comportamenti disdicevoli mettono in pericolo la perpetuazione di questo meccanismo. Risultano allora tanto più crudeli i provvedimenti e i comportamenti per reprimere chi tenta di liberarsi del giogo. In questo caso il semplice gesto di un sorriso e l'espressione di amore verso una donna sono considerati il segno di una inaccettabile sovversione. Il giovane Kaddour è totalmente sovversivo, perché è la sua dimensione dimessa, non da uomo, a mettere in crisi il sistema coranico, per il quale il ruolo maschile corrisponde a un esercizio attivo, assoluto, di dominio e potere. Kaddour diventa quasi una presenza-assenza che non ha alcuna funzione. Il patrigno non lo difende, anzi sottolinea i suoi comportamenti strani non adeguati. Il movimento di Kaddour è filmato da Chouikh cercando di sottolineare i limiti di questo angusto e tortuoso percorso tra le piccole strade del villaggio e soffocando i corpi in interni ancora più claustrofobici. La sequenza conclusiva fa di questo film senz'altro un capolavoro, per la capacità di spingersi nel territorio espressivo della saga grottesca (non mi sorprende che Adriano Boano a proposito di L'arche du desert abbia citato Strane storie), amministrando perfettamente il tempo delle battute e creando delle inquadrature che sono l'epifania dell'horror per l'inquietudine che trasmettono inerente al racconto nel suo crudele, inevitabile epilogo, che è da una parte il trionfo barbaro di una mentalità disgustosa, la tradizione rappresentata dagli anziani, dall'altra parte la beffa ai danni dell'ennesima vittima, Kaddour, la cui innocenza non può che annullarsi nel disperato gesto suicida.