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Il piccolo ladro
Anno: 1999
Regista: Eric Zonca;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 22-05-2000


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LE PETIT VOLEUR (titolo italiano: Il piccolo ladro)

Regia: Éric Zonca; sceneggiatura: Éric Zonca e Virginie Wagon; fotografia: Pierre Milon; montaggio: Jean-Robert Thomann; suono: Jean-Jacques Ferran; scenografia: Kristina Zonca; costumi: Cécile Berges; interpreti: Nicolas Duvauchelle, Yann Treguët, Jean-JŽrôme Esposito; produzione: La Sept Arte, Agat-Films e Cic e Gilles Sandoz; Francia 1999; distribuzione: BIM

S. vive a Orleans. Insoddisfatto della vita che fa (si guadagna da vivere imparando a fare il fornaio), decide di mollare il lavoro e di scappare a Marsiglia per darsi alla malavita. Ma non è tutto così facile, e anche qui è sottoposto ad un durissimo apprendistato: tutti i giorni palestra, piantonaggio di prostitute, lavori domestici in casa di una donna anziana, regole ai margini da rispettare perché quando non vengono rispettate, anche solo di poco, i compagni non esitano un attimo a punirti duramente. S. alla fine non regge e torna, rassegnato, al lavoro di fornaio.

Lo sguardo disincantato e disilluso di Eric Zonca non si addolcisce ne "Il piccolo ladro": una volta di più, non sembra esserci soluzione possibile ai moti di orgoglio e ribellione dei giovani francesi, l'unica fine, predestinata, risultando ancora una volta il suicidio: fisico o sociale, poco importa."Integrarsi o morire", sembra essere il monito di Zonca, amaro e lucidissimo, quasi cinico.
Ma nell'ora scarsa in cui seguiamo da vicino la parabola discendente del giovane S. qualcosa si perde per strada: lo stile rarefatto, con una macchina da presa talmente appiccicata al protagonista da coglierne quasi l'ansare (in uno stile secchissimo che ricorda molto da vicino "Rosetta" dei fratelli Dardenne), incapace di fermarsi anche solo per un momento o di allargare il campo in modo da includere il mondo esterno, rinuncia non si sa bene quanto consapevolmente alla introspezione a tratti affettuosa, sempre comunque profonda ed autentica del precedente "La vita sognata degli angeli". Lì imparammo tantissime cose di Isa e Marie, le due giovanissime protagoniste: ci affezionammo ad entrambe, soffrimmo per loro, per le loro sconfitte. Imparavamo a conoscere la loro vita ed il loro passato, inquadratura dopo inquadratura. Di S. invece non sappiamo nulla, né nulla sapremo: quali possano essere i veri motivi che lo spingono a lasciare provincia e lavoro sicuro per entrare nella malavita, a sottostare alle prepotenze dei capetti, ed infine a reclinare il capo quando viene punito per aver contravvenuto alle regole del branco rimane avvolto nella nebbia, è fuori campo. Al regista non importa dircelo e, in fondo, a noi non importa neanche più di tanto scoprirlo, il ragazzo restando un'icona sbiadita del ribelle di provincia che nulla ha dello spessore delle sue "sorelle". Anche a volerlo prendere come un finto documentario, "Il piccolo ladro" rimane nulla più di un poco convinto tentativo di ripetere il peraltro meritatissimo successo della stagione precedente, tentativo la cui collocazione più naturale dovrebbe forse essere nella sfera di una "pubblicità progresso" d'oltralpe (non a caso l'origine del film è televisiva).