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Il Figlio Perduto
Anno: 1999
Regista: Chris Menges;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 15-05-1999


The Lost Son
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THE LOST SON


Regia: Chris Menges
Sceneggiatura: Eric & Margaret Leclerce, Mark Mills
Fotografia: Barry Ackroyd
Montaggio: Pamela Power, Luc Barnier
Musica: Goran Bregovic
Scenografia: John Beard
Costumi: Rosie Hackett
Produzione: Finola Dwyer
Formato: 35 mm.
Provenienza: GB
Anno: 1999
Durata: 102
Distribuzione: Istituto Luce con il contributo del Programma MEDIA dell'Unione Europea
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Daniel Auteuil ... Xavier Lombard
Nastassja Kinski ... Deborah Spitz de Moraes
Katrin Cartlidge...Emily
Marianne Denicourt ...Nathalie
Ciaran Hinds ...Carlos
Bruce Greenwood...Friedman
Billie Whitelaw ...Mrs. Spitz
Cyril Shaps...Mr. Spitz
Hemal Pandya...Shiva
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Quale perversione si nasconde dietro agli autori per decidere di coinvolgere la grazia delle silhouettes di Lotte Reiniger nello snuff movie che innesca la spirale dell'inchiesta?

Auteuil è un attore specializzato in infanzia derelitta (L'Ottavo giorno) o promiscua (Romuald e Juliette), sempre comunque qualche riga sopra il livello di sopportabile commozione; prevedibile la trama, la maschera dimessa e segnata da un passato indicibile, la cui rivelazione sappiamo attenderci come una spada di Damocle prima della fine del film. Non fa eccezione questo pleonastico e poco avvincente thriller incentrato sulle vicende di una gang di pedofili, smantellata dal solitario investigatore francese emigrato a Londra con la puttana confidente, di cui non è il protettore (quindi non si capisce perché anche lei sia fuggita da Parigi). Non è l'unica incongruenza del film (ad esempio, perché Carlos affida l'indagine al suo vecchio amico?), il cui tormentone per tre quarti di film è: "Cosa è successo a Parigi?", sostituito soltanto da "Che cazzo c'entra il Mexico?". La scelta delle location è involontariamente surreale, al limite in omaggio a Central do Brasil (persino il più vieto neo-realismo è meglio di questa commistione di vezzi cinefili e innocua denuncia) potevano sostituire la trasferta messicana con un viaggio in Amazzonia, oltre tutto Carlos, il suo amico, marito di una ingessata Nastassja ombra di se stessa, è brasiliano.

All'inizio il regista si diverte a cercare di sparpagliare indizi, che dovrebbero per lo meno lasciare aperte inferenze curiose sul personaggio: l'insistenza nello sbirciare dalla finestra nelle case altrui dovrebbe forse preludere ad allusioni ad una sua predisposizione voyeuristica che lo renderebbe simile ai pervertiti nemici della sua crociata, l'acquisto del sottomarino giocattolo poteva trovare sviluppo in una sua ossessione legata alla mancanza della famiglia, che è stiracchiata fino alla lenta rivelazione, ammannitaci nel delirio raffazzonato. Nessuna di queste trame vivacizzanti viene sviluppata e la chiave rimane banalmente poliziesca. Il sottomarino nasconde la disposizione della pistola nell'acquario (ed è altrettanto scontato il ripetuto gioco di richiami con lo screen saver ittico), ma Auteuil non ha il carisma di Clint, quando recuperando il revolver veste i panni del vendicatore solitario, né riesce certo ad evocare il brivido di Marlowe quando dice: "Chiedo 350 sterline più le spese", le gitanes poi sono un tropo sfruttato di cui non sembra nemmeno più convinto il fumatore; inoltre l'unico momento di ridicola perversione è quando sbatte Deborah contro la scala, bloccandola con il suo peso e completamente vestiti allude ad un'attrazione impossibile (forse perché Nastassja lo sovrasta di tutta la testa e lo guarda dall'alto in basso sinceramente sorpresa); impossibile da parte di lei, ovviamente.

Apprezzabile la scelta di impedire ai bambini alcuna comunicazione verbale: si è evitato un surplus di retorica di cui non si sentiva il bisogno: le figure infantili sono per questo le meglio riuscite, quasi autistiche, ma senza le implicazioni che provocherebbe quella condizione. Altrettanta gratitudine ispira la scelta di non insistere sulle immagini dello snuff movie (al contrario di quanto avviene in 8mm), preferendo usare l'espressione sconvolta di Lombard (meglio ancora quella di Nathalie, più genuinamente schifata, eppure consapevole dell'esistenza di quel mondo).

La scena migliore, emblematica e che potrebbe fare giustizia di tutta la macchinosa trama è l'inquadratura del bambino scelto da Lombard, che al momento della liberazione piscia su uno dei carcerieri ridotto all'impotenza: una prolessi del finale che vede Shiva, l'altro bambino protagonista e vindice. Purtroppo il resto è affidato a dialoghi improbabili come il seguente. 4354471: "Telefono per i cagnolini...É George che mi manda...Scelgo un cane non addestrato tra i tredici e i dodici mesi, marrone." "Se il cagnolino si sentisse male o morisse, ci penseremmo noi a liberarcene". All'abisso di insipienza non c'è fine. Infatti la chiosa assolutamente insensata recita: "Quando i gabbiani seguono i pescherecci è perché si aspettano le sardine".

Ma per favore!