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Il collezionista - Kiss the girls
Anno: 1997
Regista: Gary Fleder;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-03-1998


Tit. or.:Kiss the Girls. Regia: GaryFleder. Dal romanzo di: JamesPatterson. Sceneggiatura: DavidKlass. Fotografia:Aaron Schneider. Musica: Mark Isham. Montaggio: Harvey Rosenstock, William Steinkamp.Cast: Morgan Freeman (AlexCross), Ashley Judd (KateMcTiernan), Cary Elwes (NickRuskin), Tony Goldwyn (WillRudolph), Jay O. Sanders (KyleCraig), Justina Vail (BeautifulGirl), Bill Nunn (Sampson),Brian Cox (Chief Hatfield),Alex McArthur (Sikes),Richard T. Jones (Seth Samuel),Jeremy Piven (Henry Castillo),William Converse-Roberts(Dr. Wick Sachs), Gina Ravera(Naomi Cross), Roma Maffia(Dr. Ruocco). Produzione: RysherEntertainment. Usa, 1997. Dur.: 2h.Casanova, il grande seduttore, ineguagliabile amatore:collezionista di donne, personificazione del dongiovanni...L'imprendibile Casanova protagonista de Il collezionista nonseduce le sue compagne, ma le rapisce; non le ama, ma le odia...Casanova: un soprannome che rimanda alla storia e alla culturaeuropea; che in un certo senso nobilita la figura del serial-killer;un tratto che accomuna questo lavoro a Seven... Ma laddove irimandi a Dante, Shakespeare, Chaucer & Co. erano elementi cheJohn Doe/Kevin Spacey disseminava sui luoghi degli efferati omicidiin serie, secondo progettualità, ed attraverso i quali siarticolava la "detection bibliografico-letteraria" della coppia BradPitt-Morgan Freeman, ne Il collezionista il gioco ènettamente semplificato, o meglio: è appena impostato,imbastito, senza tuttavia che gli sceneggiatori siano riusciti asfruttarlo appieno, in maniera fruttuosa, se non al piùsuperficiale livello indiziario - semplice soprannome che gioca su unparallelo elementare: la volontà del maniac-killer dicollezionare donne, come il veneziano cui rimanda collezionava amorie prodezze seduttive. Un secondo elemento che quasi ci forza nelriandare a Seven è Morgan Freeman: non solo la suapresenza come interprete del detective protagonista, ma la stessafigura di poliziotto cui presta il volto, maturo, colto, arguto,capace di individuare sottili fili inediti in una texture criminosaapparentemente elementare, costituiscono una sorta di trait-d'uniondoppio, sovrapposto, che lega le due pellicole. Un terzo tratto chepare accomunare Il collezionista a Seven sembra essere lavolontà di sceneggiatori e regista di dipingere uno scenariotutto giocato sulla cupezza, sui toni forti, che attinge condeterminazione al bagaglio della perversione tuffandocisi, evitandoaccuratamente ogni zona di luce, cercando di non uscire mai dal conod'ombra, individuando in questo caso l'area non in una rosa ampiaquale poteva essere quella dei peccati capitali, ma spingendo versola concentrazione e l'amplificazione lavorando in una sfera bencircoscritta che è quella sessuale. La ricerca formale diFleder, poi, è evidentemente intenzionata a supportare, adispessire, tale scelta giocando su una costruzione che alternadeformazione e lucidità pur restando, anche nel secondo caso,fortemente legato ad una volontà di offuscare il quadro, diridurne la visibilità, di criptarne, in un certo senso, ilcontenuto. Tuttavia, i meccanismi cui si ricorre ne Ilcollezionista per fornire un corrispettivo visivo alla incubicamateria drammatica si appellano a moduli in sapore di sperimentalismoma sortiscono effetti clip, quasi patinati, ben distanti dalle feliciscelte attuate in Seven da David Fincher e dal direttore dellafotografia Khondji: se ogni sorta di aggettivazione relativa adatmosfere cupe era sempre parzialmente valida per definire nel suocomplesso Seven (malato, sporco, malsano, nero, angosciante, opaco,oscuro...) proprio in conseguenza del lavoro sull'immagine che sisaldava al narrato in un incastro assolutamente coerente [lafotografia, ad esempio, e ciò che impedisce di coglierequella fotografia, quell'illuminazione, quel taglio delquadro: Seven è un film che fa strizzare gli occhi, non pernon vedere le terribili nature morte che l'assassino compone ma,esattamente al contrario, per cercare di vedere il piùpossibile - lo sforzo di vedere oltre quella fotografia-filtro,quella cortina acciecante ed onnipresente; Seven fa dilatare lapupilla nell'oscurità, per ricostruire una scenografiasfuggente, ed i particolari, quando finalmente riusciamo a metterli afuoco, sono ancora più inquietanti, perché frutto diuna ricerca nostra che ci accomuna ai due detective. E' malatonon solo John Doe, pluriomicida con manie mistiche, è morbosanon solo l'intera vicenda: è perverso soprattutto ilmeccanismo di visione (di fruizione) che il regista innesca nellospettatore attraverso il lavoro sulla fotografia, sulle ripresesteady, sul montaggio. Immagini sfuggenti che proprio per tale naturarestano impresse nella pupilla ed infettano di curiosità lamente - e lo spettatore rimane sospeso nell'orrore delcoinvolgimento. Visibilità e visione ostacolate, quasi negate:fin dai titoli di testa, vibranti, nervosi, opacizzati, sbiaditi,sovrapposti, al limite dell'illeggibile]... se, dicevamo,quell'incastro tra storia e discorso filmico connotava Sevendi monolitismo (tanto che anche i detrattori difficilmente possonoscagliarsi sull'intera linea contro la pellicola), ne Ilcollezionista questa coerenza interna manca totalmente, e laregia di Fleder difficilmente aderisce completivamente o in funzionedi amplificazione rispetto a quello che racconta... In sostanza:l'orrore risiede nella materia; ma non riesce ad elevarsi ad unlivello complessivo, a contaminare lo spettatore, ad infettarne lamente attraverso l'occhio; non resta che un intreccio a tinte forti,ma senza un impatto che vada oltre i più corrivi effetti disorpresa o, nei casi migliori, di suspense. Seven era unlavoro complesso, articolato: Il collezionista no. Ilconfronto tra le due pellicole non è, a nostro parere,forzato: è quasi richiesto, anche in conseguenza del battageoltre che dalle analogie citate in apertura. Ma anche volendo - comegiusto - considerare Il collezionista indipendentemente, fuorida logiche di confronti con altri risultati del medesimo filone,è difficile individuare appigli per un giudizio in positivo,piuttosto ci pare una occasione mancata. Della regia abbiamoaccennato; possiamo ancora osservare che rispetto al lavoroprecedente di Fleder, Cosa fare a Denver quando sei morto, questaprova indica una caduta: frammistione tra sceneggiatura rigorosamenteblack-comedy e raffreddamento, congelamento, in una prospettivapiù noir seconda una formula inedita, Cosa fare a Denver...era un buon esordio sul grande schermo (uno dei lavori piùinteressanti della scorsa stagione) che ora sembra tradito da unmezzo passo falso. Quasi come se il regista considerasse lasceneggiatura come una griglia su cui sperimentare, impiantandoforzatamente dei moduli rappresentativi secondo una logica quasicasuale, ne Il collezionista l'emozione spesso non decollaproprio in conseguenza degli interventi del regista, della suapresenza eccessivamente forte (e spesso interventi assolutamentefuoritempo/fuoriluogo: come i rallenti che Fleder introduce nel pienosvolgimento dell'azione, come volendo rallentare ma senza unobiettivo drammatico, senza intenzioni di sottolineatura;paradigmatica la scena conclusiva di lotta tra la vittima Kate eCasanova - brusca, violenta, ruvida, realistica, coinvolgente fino almomento in cui un rallenti inutile non spezza la tensione dilatandolo svolgimento) . Parimenti, dal punto prospettico dellasceneggiatura Il collezionista è un'occasione mancata;due le intuizioni interessanti, anche se non inedite: il presuntoserial-killer che si rivela non un assassino ma piuttosto un sadicocarceriere; e la svolta del racconto in cui il fronte antagonista sirivela doppio, quando emerge un secondo, anche più spietato,criminale affiliato a Casanova in qualità di adepto, diallievo. Al di là di un gioco di depistamento dello spettatoresecondo false piste di scarsa levatura, ciò che maggiormentesvilisce la portata della sceneggiatura è la trascuratezza concui vengono trattate le situazioni anche più facilmenterisolvibili in un'ottica di logicità e credibilità(inutile stare a catalogare i buchi di sceneggiatura: sono parecchi esono evidenti; infastidisce piuttosto la presunzione che sembraessere alla base del lavoro di scrittura: come se gli sceneggiatorisi siano sentiti forti delle idee-base e abbiano scelto di trascuraretutto quel bagaglio che, pur nella finzione più incredibile,risulta necessario a renderla coerente). La sceneggiatura sembravivere di una velocità che non è ritmo ma èfrettolosità - diretta conseguenza delle ellissi costituitedai suddetti "buchi"; oppure soluzione di ripiego per ovviare aglistessi: tutto scorre spedito, apparentemente per incalzare, inrealtà per lasciarsi alle spalle interrogativi senza risposta.Morgan Freeman, dal canto suo, sebbene non abbia a disposizione unpersonaggio ben delineato, non sembra sforzarsi troppo nelcaratterizzarlo; non riuscendo nemmeno a rendere drammatico ilpassaggio del poliziotto/psicologo forense dal distacco alcoinvolgimento (sua nipote è una delle donne nelle mani diCasanova); limitandosi a dare una credibilità "operativa" alsuo personaggio semplicemente dando corpo ad una versione vagamente"intellettualizzata" di un duro da blaxploitation. Peccato.