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24 7
Anno: 1997
Regista: Shane Meadows;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 16-09-1998


24 7 di Shane Meadows
Regia:Shane Meadows
Sceneggiatura: Shane Meadows, Paul Fraser
Fotografia: Ashley Rowe
Montaggio: Bill Diver
Suono: Boo Hewerdine, Neill Maccoll
Interpreti: Bob Hoskins, Bruce Jones, Mat Hand
Danny Nussbaum, Annetter Badland, James Hooton,
Sun Hand, Frank Harper, Jo Bell

Produttore: Imogen West
Formato: 35 mm.
Durata: 96 min.
Provenienza: UK
Anno: 1997


I due corti (Where's the money Ronnie? E Smalltime), che hanno permesso al ventiseienne regista di Nottingham di ottenere i fondi per realizzare questo violento atto di accusa al thatcherismo, erano tanto ilari, quanto lugubre è il clima restituito dal filtro del bianco/nero contrastato e soffocato sotto la nera cappa incombente dal cielo, plumbeo fin dalla cornice da cui emerge la memoria in flashback di anni bui, vissuti da marginali, disoccupati, junkies: il medio evo passato prossimo, regalato al Regno Unito dalla follia liberista della Lady di Ferro. Ella non è citata, mai. Al contrario di altri autori inglesi, che però poi si perdono in facili sentimentalismi (Grazie signora Thatcher), o in noiose figure iperrealiste (Mike Leigh). Invece il maggior pregio di questo film è lo sforzo di lasciar aleggiare lo spirito atroce degli anni ottanta, come un pericolo non ancora del tutto scampato.

L'incombente carica di rabbia che tutto racchiude, descritta con lo stesso vigore che la caratterizza, è l'altro aspetto sorprendente, che Loach e gli altri registi britannici tentano sempre di interpretare, soffocando così la brutale forza d'urto insita nelle espressioni di dirompente violenza fisica, che aggiunge turbamento, sensazione restituita in particolare dalla presenza di un rimpianto di fondo: quello di non essere stati in grado di approfittare di occasioni di crescita comunitaria. Spaventosi sono gli sbocchi d'ira furibonda sul ring, ma soprattutto fuori a testimoniare di uno stato di auto-repressione, a cui la boxe avrebbe potuto dare sfogo se .... Sullo sfondo dei blues di Paul Weller, Van Morrison (... e Nick Drake, Primal Scream, Tim Buckley, The Charlatans, Boo Hewerdine, Neill MacColl, Beth Orton, Tim Rose, Sunhousesi) si assiste al tentativo di incanalare il furore (ed evocare Steinbeck ed il suo mondo di vinti non sembra fuori luogo, nonostante la distanza di tempi e luoghi) che cova sotto una convivenza ridotta al grado zero dei rapporti impacciati. Il contrasto non fa che aumentare la bolla di tensione del cui epilogo fallimentare siamo già a conoscenza, pur senza conoscerne le modalità. L'entità della sconfitta s'evidenziava comunque fin dalle prime pagine del diario, la lettura del quale scatena le immagini di un passato, che ha un unico pregio: Darcy ci aveva provato a rimettere insieme il tessuto connettivo di una società resa egoista.

L'enormità della disfatta è sottolineata dalla furia che trascina proprio Darcy, predicatore del controllo sulle proprie pulsioni, trasformandolo in una belva scatenata, quasi che il giovane regista volesse indicarci una delle cause dello scacco degli antagonisti della Thatcher.

Ogni singolo personaggio riesce a ricoprire un ruolo nella tragedia, sulla quale la riunione catartica finale, durante il funerale, non riesce comunque a squarciare il velo tenebroso e cupo di quel nero slavato, che grava come una condanna irrevocabile sui microcosmi di deprivati, rassegnati. Impotenti incattiviti: i padri esacerbati, inarrestabili nella furia distruttiva ed i figli sbandati per i campi. La disperazione trova un effimero conforto nel cameratismo della palestra di boxe organizzata al 101 Club con lo scopo di avere qualcosa in cui credere, ma la cocente sconfitta della classe operaia inglese segna i comportamenti e il destino di qualunque lotta. Poco credibile la repentinità con cui i giovani, dopo un discorsetto e una blandizie sulla importanza dei singoli (Hoskins per fortuna non si dilunga su ruoli da Robin Williams e si limita a dire svogliatamente ad ognuno che proprio lui è speciale), si sottomettano alle regole della boxe, dimentichino rivalità annose: creino un gruppo. Se quello che mancava era la passione, continua a latitare, ma almeno Meadows ci ha provato, senza la retorica di tanta British Renaissance, di cui rimangono alcuni vezzi, come la vecchia zia Iris da accompagnare a ballare il valzer o il lungo episodio della trasferta in Galles, senza azione, ma costellata di siparietti didascalici su quanto fraternizzarono i giovani, addirittura con il primo piano del redattore del diario che descrive le scene quasi arcadiche, se non fosse per la tetraggine del nero.