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Giro di lune tra terra e mare
Anno: 1998
Regista: Giuseppe M.Gaudino;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 03-11-1998


Giro di Lune tra Terra e Mare
Regia:Giuseppe M.Gaudino
Sceneggiatura: Giuseppe M.Gaudino, Isabella Sandri, Hiedrun Schleff
Fotografia: Tarek Ben Abdallah
Montaggio: Roberto Perpignani, Giuseppe M. Gaudino
Musica: Epsilon Indi
Montaggio del Suono: Michael Billingsley Stefano Campus
Scenografia: Alessandro Marrazzo, Paolo Prota
Costumi: Paola Marchesin
Produttore:Isabella Sandri
Interpreti: Aldo Bufi Landi, Tina Femiano, Salvatore Grasso, Antonio Pennarella, Vincenza Modica, Luciano Zazzera, Antonella Romano Roberta Spagnuolo, Olimpia Carlisi, Angelica Ippolito, Sebastiano Colla Antonella Stefanucci, Lucio De Cicco, Livio Cirillo, Antonello Montella
Produzione:Z.D.F. - RAI
Distribuzione: Istituto Luce
Formato: 35 mm.
Provenienza: Italia Anno: 1998 Durata: 101'


    Si tratta di una sospensione del normale flusso di fotogrammi per fare spazio ad un racconto che usa il vernacolo a sottolineare il carattere popolare della vicenda, ma impastandolo con la tradizione classica: connubio a tal punto riuscito che si amalgamano senza traumi le messe in scena degli episodi tra mito e storia puteolani segnalati da interventi fotografici raccordati con un montaggio impressionante per incisività, eppure non invadente.

    L'io narrante è Gennarino, aspirante calciatore, il minore della famiglia Gioia composta di sette elementi e molto simile ai Bastianazzu verghiani. Vinti e travolti dalla storia, che sembra sopravvivere solo nei ricordi sfocati al di là delle case spente con il simbolico gesto di chiusura degli occhi-finestre, murate; in esse si annida il colera e si inseguono figure perturbanti come la Matta, pulzella di altre epoche più clementi con la città oggetto di un ritratto commosso fatto di sgomberi e disfacimenti (greenawayano quello finale che accomuna barca, casa, destini umani e città in un processo di dissoluzione ineluttabile e irreversibile filmato con serie di fermi di fotogrammi a descrivere la caducità), senza piangere sulle sue spoglie, viste attraverso il recupero di materiali nella diroccata zona vecchia, mangiata dal bradisismo: un gioco-lavoro organizzato dai ragazzini. Proprio da queste missioni tra le rovine Gennarino prende coscienza nel finale: "Di lassù si vedeva bene come stava rovinando la città". Bellissimo infatti il sole che sparisce all'occaso.

    Lo spirito della città è il personaggio principale che fonde in se il padre Salvatore, autoritario, gretto, che fa resistenza utilizzando la tradizione perché non ha altro a cui appellarsi, con l'attentatore Nerone, che ordisce trame ai danni di sua madre negli oscuri cunicoli del sottosuolo traditore e in costante moto, ma vi trova posto la stessa Agrippina, ripresa in accurate immagini relegate nelle gallerie, come se fosse lei stessa l'humus, diventando antenata della passionaria Assuntina, la figlia, vittima della capatosta di Salvatore: ella rimane nella casa pericolante da sola, dopo il primo di una serie di traslochi che diventano incubo in una notte di tregenda, allucinata sentinella impaurita, come i deambulanti fantasmi non pacificati che popolano i resti delle varie epoche compresenti nelle eclettiche location scelte. Mentre il padre rifiuta di riconoscere gli errori, ma in particolare non può accettare la definitiva conclusione di un mondo e questo accentua la chiusura e la mancanza di indulgenza

    I traslochi si succedono, come le case ed i bassi, tutte costruzioni sorte su precedenti edifici che radicano, mescolando ancora di più il latino e il partenopeo: "La Sibilla è passata sicuramente di qui" dicono i ragazzini che le mescolano le foglie, confondendone i vaticini e accentuando la contemporaneità delle epoche, introducendo la nota divertente del credersi la madre di Cristo (compresa una gravidanza isterica): sono loro che tracciano la continuità con i luoghi incantati, assistendo all'assassinio di Agrippina, ripetuto nei catacombali sotterranei del passato sempre presente e configurato come una negazione del parto, come a voler cancellare la vita che può discendere da quel luogo. E poi si evocano altri fantasmi senza pace: Artema e una agiografica traccia di San Paolo servono per accentrare l'attenzione su uno dei messaggi di Gaudino: il ragazzino rileva come "Mo non se mmore chiù pe' cose importanti, ma solo pe' cazzate"; questo è il vero dramma di una situazione di frana non solo fisica. Il lento disfacimento rovinoso innesca una spirale per cui non solamente non vale la pena di vivere spigolando tra le rovine, ma neanche più le sorti di quei personaggi antichi si riescono a rieditare: rimangono soltanto più le quinte sceniche in decomposizione che hanno assistito a morti eroiche, ma che ora, forse proprio in assenza di motivazioni, non consentono più gesti che restituiscano un senso all'esistenza attraverso una morte che vi apporti valore. Il simbolo di tutto ciò è la triste bellezza del cigno che stramazza in sovrimpressione sulle scale come una mitica Leda senza speranza: con quell'effetto Gaudino coglie il momento in cui precipita tutto il simbolico e si distacca l'immaginario, il definitivo allontanamento dalla storia e la irrevocabile e tragica presa di distanza dal mito, che prelude al declino. Nemmeno gli intrecci tra i personaggi di un tempo, il cui spirito aleggia tristemente ancora tra le orbe case diroccate (Pergolesi murato con il suo Stabat mater è proposto con una figura che gode di un taglio splendido e poeticissimo, omaggiata degnamente da una sequenza non priva di nero umorismo con il musico davanti al suo pentagramma ripreso di fianco, languido e pronto alla atroce morte, mentre in tralice un muratore chiude la finestra sullo sfondo con le tendine ancora svolazzanti), e i vinti di cui si seguono le disgrazie, nobilitate dagli incastri con il passato, riescono a cambiare il destino, annunciato da radio (l'epidemia di colera) e tv (l'inizio del processo al fratello reo di parenticidio, come da copione di una tragedia greca), come se si patisse di una forma di ritrosia a diffondere i fatti che porteranno alla dissoluzione della città e della famiglia usando la rappresentazione teatrale o i canoni cinematografici.