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Elvjs and Merilijn
Anno: 1997
Regista: Armando Manni;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 24-05-1998


Elvjs e Merilijn

Regista ARMANDO MANNI
Produttore ENZO PORCELLI
soggetto e sceneggiatura ARMANDO MANNI, MASSIMO TORRE
Direttore della fotografia RENATO TAFURI
Autori delle musiche PIVIO & ALDO DE SCALZI
Scenografo MARCO DENTICI
Costumista METELLA RABONI
Fonico presa diretta ROBERTO PETROZZI
Montatore UGO DE ROSSI
Organizzatore generale BRUNO RIDOLFI
Interpreti EDYTA OLSZOWKA, GORAN NAVOJEC, GIORGIO FALETTI, TONI BERTORELLI, JULIETTA KOLEVA, SASA VULICEVIC
Produzione ALIA Film e Istituto LUCE
Con la collaborazione RAI Radiotelevisione Italiana
Distribuzione Italia Istituto LUCE
Durata 93´

Ufficio Stampa della produzione Studio NOBILE SCARAFONI
Ufficio Stampa della distribuzione PATRIZIA DE CESARI
Distribuzione mondiale ACHAB FILM
Poster

Luce intensissima, sovraesposta: non solo quella delle luci da saga paesana di trent´anni fa con cui s´inizia, ma anche quella in cui si dissolve il personaggio di riferimento di Ileana: "Non voglio più essere Merilijn". Una dissoluzione preannunciata fin dalle prime intrusioni delle prolessi di quella figura che svanisce confondendosi con la spiaggia. Il resto del film non è solo tenebra senza cuore, ma crudele desolazione senza speranza di remissione: non sembrano esserci spiragli. E in effetti non ci sono.
Infatti al termine del calvario, che vede spogliare i due di tutto ciò che sono e possiedono, alla riaccensione delle luci in sala ci sorprendiamo a considerare quasi incoerente quello che appare come un lieto fine, forse perché gli inserti sovraesposti ci avevano abituati all´idea della morte di Merilijn/Ileana come un giusto (e filologicamente corretto) epilogo, non prevedendo che riuscisse a liberarsi del suo personaggio. In realtà se vogliamo ritenere happy ending il fatto che i due si ritrovano clandestini sul litorale romagnolo, senza un soldo, privi di lavoro e fosche prospettive all´orizzonte ...Però sono finalmente liberati dall´identità fittizia che si erano dati assumendo il ruolo di sosia di due miti occidentali morti da trent´anni: loro sono almeno vivi, nonostante l´odioso razzismo italiano, ancora meno sopportabile dopo l´inferno patito e attraversato dai due pellegrini balcanici.

L´abisso inumano percorso da Nicolaj (bulgaro) e Ileana (rumena) ci appare da subito in sintonia con le loro esistenze di squallida sopravvivenza: meccanico abituato a interventi su mezzi ormai sfruttati all´inverosimile e non troppo coinvolto da un´esistenza triste con due figlie gemelle prese di peso da Diane Arbus, lui; lei impegnata in una esistenza persino più desolata, se è possibile, condivisa con una madre la cui unica battuta è: "Voglio morire, ora", con quell´ultimativo avverbio che dà la cifra della premura di farla finita per manifesta incapacità di sopportare ulteriormente quella vita.
E risulta credibile. Sicuramente più dello sputo che prima di abbandonare moglie e figlie si infligge Nicolaj allo specchio, primo di una lunga serie di scaracchi sui volti inferti lungo tutto l´angosciante road movie, spinto sui binari della disperazione dall´ottusa burocrazia, sostituta più sadica di quella sovietica. L´itinerario prende avvio con un´atmosfera apolide: l´autista che consente loro di giungere in ex-Jugoslavia è una zingara ("Per noi i confini non sono mai esistiti", con lei si intona una cover americana di O sole mio, come gli emigranti italiani di decenni fa; l´intera pellicola gravita attorno all´idea che le popolazioni est europee vivono in un presente retrodatato di trent´anni, e questo è il motivo dell´insuccesso del loro spettacolo al Crudité (nome quanto mai azzeccato per il tema del film) di Riccione. Ma questo parzialmente spiega anche le atrocità a cui assistiamo: oltrepassano, in pochi giorni, decenni di orrori, affrancandosi dal ritardo e bruciando le tappe di una violenza che l´Occidente ha diluito in trent´anni. Un viaggio paragonato alla prima inurbazione ("Le città le hanno inventate, perché le campagne erano tristi" e l´Oriente europeo è qui nei panni di una waste land) effettuato su strade sconnesse e sentieri che conducono a troppo emblematiche sbarre di confine. L´albore del progresso è rappresentato dal pistone di un camion, portato ai militari che li ospitano, che commentano: "È bellissimo". Un motore, un mezzo si trasfigura sullo schermo in un prodotto artistico, senza seguire i tortuosi metalinguaggi delle avanguardie artistiche.

Tuttavia l´incontro con i militari è solo prologo al cinismo con cui il colonnello condannato ("Le medicine non servono più") pone fine al suo sconforto, esprimendo in modo brutale il suo tributo alla bellezza muliebre attraverso uno sparo: si tira un colpo dopo aver castamente accarezzato un ultima volta un corpo femminile (quello di Merilijn che esce dalla doccia e assiste impietrita) attraverso il quale si congeda da tutti i desideri terreni. Lo fa tirando la tenda: è un gesto privato, agito con infinita crudezza, ma anche un rito per sottrarsi a quella luminosità che ci perseguita, preconizzando il futuro.
Il colonnello prima di morire aveva detto: "È troppo luminoso: qui i lsole non serve più a nessuno, ci sono solo ombre senz´occhi. I sopravvissuti", cioè quella condizione a la coppia di sosia cui si sforza di sfuggire. Il vortice si fa più feroce man mano che ci appressiamo al mare: i combattenti spietati li buttano giù dal camion in corsa dopo umiliazioni da maniaci impotenti e la violenza si scatena nell´incontro con due francesi il cui camion è in panne in uno sventrato villaggio fantasma da cui è generata improvvisamente la furia della guerra sotto le sembianze di un ragazzino allucinato che spara, finché in una sequenza agghiacciante uccide uno dei due francesi soltanto dopo averlo coinvolto nel gioco mortale ed aver conseguito la certezza che gli riservi la stessa cortesia. Senza pietà e senza speranze.

E poche rimangono le speranze di riscatto sulla spiaggia al di qua dell´Adriatico, senza più identità, ma con l´amore tra Nicolaj e Ileana (non più Elvjs e Merilijn dopo le proposte oscene ddegli impresari italiani) al posto dell´ossessione della sopravvivenza coatta che ha caratterizzato tutto il film, la cui crudezza lo rende una sorpresa nel panorama italiano, sempre pronto a stemperare laddove le situazioni e i sentimenti si fanno insostenibili per le coscienze occidentali. Qui nessuno può sentirsi assolto.




ARMANDO MANNI
Quarant´anni e una laurea con lode in Economia. Fotografo di punta della new generation, ha esposto in Europa e negli USA e pubblicato il Manuale di fotografia.
A metà degli anni ´80 lascia la fotografia per dedicarsi alla regia. La sua formazione è legata soprattutto a RAI 3 e RAISAT.
Con il cortometraggio, L´abbraccio, ha vinto il premio F.I.C.E. partecipando a numerosi Festival tra cui Berlino, San Sebastian, Torino, Rio de Janeiro ecc..
Unico autore italiano a ricevere per due volte lo European Script Fund, con la sceneggiatura di Lontane Province dell´Impero, nel 1995 ha anche vinto con Elvjs & Merilijn (titolo prov. Cruditè) il premio per la sceneggiatura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Elvjs & Merilijn è il suo primo lungometraggio.