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Abc Africa
Anno: 2001
Regista: Abbas Kiarostami;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Iran;
Data inserimento nel database: 18-11-2001


Abc Africa - Kiarostami

Abc Africa

di Abbas Kiarostami

fotografia di Seifollah Samadian

Iran, 2001, durata 84'


D'accordo, è un lavoro su commissione, come il regista tiene a precisare con il fax di convocazione dall'Uweso esibito integralmente all'inizio. Va bene, lontano dalla sua terra e dalle sue atmosfere tipiche, con una terra molto più marrone scuro della solita abbacinante sabbia, è difficile ottenere le stesse suggestioni; non c'è dubbio che l'argomento richiede un approfondimento che lui stesso definisce impossibile in un periodo così breve di permanenza in Uganda. Ma allora perché accettare l'invito di un'organizzazione che poi deve anche aver preteso pubblicità al suo confessionale impegno (alcune sequenze sono squallide marchette alla presenza cattolica nella regione, davvero massiva da ciò che si evince attraverso l'autoradio)? Perché avendo la consapevolezza di fare un'operazione di falsificazione, si è accettato un incarico per il quale prevedere porzioni metalinguistiche (le opinabili riprese degli alberghi dove il regista Kiarostami ha pernottato) che con il loro semplice inserimento da filmino familiare mirano a denunciare gli intenti dilettantistici? Perché mettere al servizio di un documentario degno dei contribuiti etnologici dei tempi di Malinowski per atteggiamento neo-colonialista la propria esperienza in materia di infanzia collocata in un'inquadratura cinematografica?

Percorriamo la lunga (84 interminabili minuti) pellicola per individuare i motivi reconditi dell'operazione: in assenza dei quali potremo poi ascriverla a semplice - e squallida - operazione commerciale.
S'inizia con un fax che occupa molta parte dei titoli, non evitando l'involontaria autoironia per il fatto che l'Africa possiede un numero irrisorio di apparecchi telefonici. Immediatamente all'arrivo a Kampala assistiamo a quello che sarà per tutto il film un filo rosso: l'invito alla popolazione locale di dare spettacolo secondo quelli che nell'immaginario "occidentale" sono i canoni standard africani: il ballo e il canto, persino il taxista per prima cosa viene fatto esibire. Questo becero folklore irrispettoso della dignità della popolazione africana è presente sempre: i bambini, quando non sguazzano nel fango per la gioia delle telecamere, ballano mettendosi in posa come gli adulti, per i quali si adotta pure il fermo di fotogramma come a segnalare la bella istantanea esotica da portarsi a casa.

In macchina, all'inizio, si opera uno scambio di telecamere in funzione, ma rimane un piano sequenza di una sola, manovra che ha il solo scopo di farci diventare occhio dell'obiettivo, perché, mentre in quell'occasione vediamo i due compagni di Kiarostami sul sedile posteriore e la loro telecamera, non vediamo la "nostra" che fino ad allora ha filmato; siamo complici della visione edulcorata, dove gli eroi cattolici della lotta all'aids (l'egida papale campeggia con l'effigie del viaggio pontificale colonialista di Wojtila in Uganda che occhieggia da molte pareti, riprese queste totalmente a casaccio che si interrompono senza offrire la possibilità di analizzare con calma cosa sia appeso in quelle povere case) si affidano alle nonne che si occupano di una trentina di nipoti virati con l'aiuto delle organizzazioni confessionali che predicano la verginità. Un tema affrontato con molta reticenza in taxi e inquadrando due cartelloni per strada sull'uso dei preservativi, ma senza approfondire con cifre e interviste a adulti sessualmente attivi l'argomento.

Ancora più grave il fatto che i nuclei siano costretti a mutare le loro abitudini, si uniformino alla prassi del risparmio "occidentale", sottolineando con piacere come mutino le loro abitudini una volta che si adattano a lavorare in modo fisso con l'obbligo di risparmiare 1000 scellini alla settimana: un vero colonialismo non solo dell'immaginario - distrutto da inni religiosi e canti sincretici - ma anche della organizzazione della comunità secondo criteri importati. Questo trova un triste corollario nell'adulto molto disturbato che riesce solo a biascicare una improbabile (e inspiegata) "felicità" sbandierata a evidente uso e consumo della telecamera, che si bea di riprendere i soliti ragazzini costretti a inscenare balli e canti ad uso dei turisti gonzi, ma soprattutto è evidente nella triste ripresa delle donne in divisa gialla che ballano per i conquistatori che riprendono questo folkloristico girotondo, che potrebbe riportare le didascalie dei primi operatori inglesi dell'inizio secolo con profusine di termini tipo "selvaggi" e "felici e spensierati ballano dimentichi di tutto", come i bambini intruppati dai preti sempre in divisa gialla, sciorinando le benemerenze dell'organizzazione committente. Diventa quasi simbolico che la telecamera in mano all'ormai "occidentalizzato" (e gli iraniani lo sono a tutti gli effetti nei confronti dei vicini afgani da sempre e ancora di più dopo l'11 settembre) regista iraniano riprenda spesso dall'alto in basso i ragazzini. Accentuando il cotè impressionistico e folklorico dell'operazione: sintomatico il repertorio di volti al mercato, presente in qualunque video di amici che hanno organizzato un viaggio in Africa. Anche la ripresa del cadaverino trasportato in un cartone su una bici non trasmette un senso di pietà, è distaccato, poco partecipe, registra come se fosse dovuto e fatale. Non c'è indignazione, ma pelosa curiosità.

Unica alzata di ingegno sono i cinque minuti di buio: il film arriva alla mezzanotte locale e si adegua. In quel momento l'erogazione di luce elettrica viene sospesa e noi assistiamo al disagio nel reportage sonoro della troupe, che commenta in vario modo - sempre negativamente - la sospensione naturale di luce che fa seguito all'irradiazione diurna. Solo una voce si alza a dichiarare che se fossero abituati lo troverebbero "natuarale"; gli altri lamentano la mancanza di internet, della luce, ... impauriti anche dal temporale che nella totale assenza del conforto luminoso è ancora più atavicamente spaventoso. Anche in questo caso Kiarostami non rinuncia a essere didattico e accompagna, stemperando l'effetto, e dichiarando esplicitamente gli intenti della bella idea di mantenere al buio il pubblico, coinvolgendolo nel viaggio.

"Quando manca il sole cessa la vita", ma quando manca l'ispirazione - e forse qualche volta pecunia olet - cessa anche il cinema.