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Doom generation Anno: 1995 Regista: Gregg Araki; Autore Recensione: l.a. Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 06-03-1998
Doom Generation (id.), di Gregg Araki; con
James Duval, Rose McGowan, Jonathon Schaech; Colonna sonora: Cocteau
Twins, Curve, Wolfang Press, Jesus and Mary Chain, Nine Inch Nails,
My Bloody Valentine, Slowdive, Extra Fancy, Porno For Pyros, Front
242.... Usa, 1995. Dur.: 84 minuti.
Tra lo splatter di Jackson e gli assassini "nati" o "per caso"
più recenti, tra gli amori di Gus Van Sant e i selvaggi di
Lynch; tra l'op-art in MTV's style e le colate vandaliche di colore
pop; distante dall'aids, perchè il problema è morire,
non sopravvivere; con una strizzatina a Kieslowsky (i personaggi sono
Red, White e Blue)... Tre giovani ai vertici di un triangolo amoroso,
su una strada per l'inferno disseminata di simboli satanici e teste
mozzate parlanti: alla ricerca del nulla.
Doom Generation, generazione condannata. Cinque anni fa
[cinque anni prima, n.d.r.], usciva nelle sale Wild At Heart
(Cuore Selvaggio) di David Lynch. Mentre era in programmazione
sono andato a vederlo quattro volte, in città, sale, orari ed
ambiti differenti: il tipo di pubblico dunque cambiava, ma la frase
più spesso ricorrente era "Che film del cazzo!". Ma
detto con il sorriso sulle labbra: quasi a disagio per essersi fatti
coinvolgere, o meglio, travolgere da quello spettacolo sballottante e
debordante, al di fuori degli schemi. All'uscita dalla visione di
Doom Generation, idem: buona parte del pubblico (posti
esauriti) ha commentato in maniera analoga. Credo che, nonostante le
differenze di materia narrata e di intenti, la pellicola di Lynch
abbia un forte punto di contatto (per non dire, di influenza) con il
lavoro di Araki proprio in quell'estetica, fortemente post-modern,
della provocazione derivante dalla continua modulazione
dell'atmosfera, dall'esasperato gioco di meticciamento e
travalicamento dei generi, dal lavoro sui ritmi narrativi
scombussolati tra accelerazioni, impennate, e pause lunghissime, da
quel costruire attese per poi disattenderle regolarmente, dalla
ricerca della saturazione del livello emozionale del pubblico...
Lynch ed Araki compiono un discorso analogo nel tentativo di
restituire la Realtà alla terribilità che gli è
propria. L'iperrealismo impietoso, la concatenazione degli eventi
dominata da un Caso feroce, la brutalità gratuita che confina
con la demenzialità...: è questo trovarsi di fronte ad
uno spettacolo selvaggio che solo apparentemente è avulso e
distante dalla realtà, ma che in verità è un
concentrato di ciò che è purtroppo la nostra cronaca
quotidiana, a urtare lo spettatore. Ecco che quel commento perplesso
"Che film del cazzo!" non è così distante da
quello che spesso esprimiamo sbottando e chiudendo il giornale:
"Che mondo del cazzo!". Il film di Lynch era forse dotato di
una maggiore coerenza interna, giocando fino in fondo con lo
spettatore, gratificandolo con un happy-end tanto falso e posticcio
quanto ironico. Doom Generation, sicuramente più
"politico", o comunque più mirato, si conclude con un finale
durissimo, forse un po' troppo didascalico. Per certi versi, sembra
che Araki, prima di chiudere la sua shockante galleria di orrori,
voglia, esplicitandone la drammaticità, puntualizzare che il
suo film non è un giocattolo. Se ai lungimiranti
Cuore Selvaggio era parso all'epoca una sorta di paradigmatica
apertura del corrente decennio cinematografico, Doom
Generation è sintomatico di come quell'intuizione avesse
valore. Entrambi appartengono a quella schiera di film che o ami, o
odi. Ma se cinque anni fa, Lynch era riuscito a smuovere le acque
della palude critica, Doom Generation viene accolto come un
capolavoro, senza dibattiti. Insomma, tempi che cambiano; o forse
Lynch, ancora una volta, era avanti sui tempi?
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