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DIE UNBERÜHRBARE - NO PLACE TO GO
Anno: 2000
Regista: Oskar Roehler;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: Germania;
Data inserimento nel database: 10-05-2001


Die unberührbare – No place to go

DIE UNBERÜHRBARE
No place to go


Regia: Oskar Roehler
Con: Hannelore Elsner, Vadim Glowna, Tonio Arango, Michael Gwisdek
Sceneggiatura: Oskar Roehler
Direttore della fotografia: Hagen Bogdanski
Montaggio: Isabel Meier
Musiche: Martin Todsharow
Produttori: Käte Ehrmann, Ulrich Caspar
Produzione: Distant Dreams/Berlino in co-produzione con ZDF/Magonza, Geyer-Werke/Berlino
Festival: Cannes 2000, La Quinzaine des Réalisateurs, Karlovy Vary 2000, in competizione,
Mosca 2000, Montreal 2000, Toronto 2000
Germania 2000, 100 min., b/n, sottotitoli italiani
Vendite internazionali: Bavaria Film International/Monaco di Baviera
visto al Festival del cinema tedesco Palermo Napoli Milano – Maggio 2001

Il titolo inglese è più affascinante e pertinente, indicando la deriva di una esistenza, la perdita di punti di riferimenti – ancora un momento di storia e di politica, la caduta del Muro – e quel luogo che né si può raggiungere, né si può immaginare, semplicemente perché si è dissolto.
Avvertiamo tuttavia che la suggestione politica è molto velata, poiché sono gli incontri della scrittrice Hanna Flanders con le persone legate alla sua vita che alla fine descrivono un luogo esistenziale che è stato già privato di qualcosa, quanto meno della figura simbolo di Lenin, prima di inabissarsi definitivamente nel conforto ambiguo di fumo e alcol. No place to go non è un ritratto sulla dipendenza dalla nicotina, quest'ultima è semmai, insieme all'alcol di cui tutti abusano nel film, il luogo dove ritrovare quello spazio residuale d'espressione, o l'incontro con l'altro. La vera solidarietà è individuabile solo nelle persone sobrie: il padre di Hanna che timidamente la implora di rimanere e poi rassegnandosi alla sua inevitabile partenza, un po' col cuore in gola, le dà i soldi. Una ragazza totalmente disponibile tenta di sollevare Hanna da uno dei suoi più profondi momenti di crisi, ospita la scrittrice nella propria abitazione cercando di integrarla con i numerosi ed allegri componenti della sua famiglia che festeggiano, l'odiata da Hanna, riunificazione tedesca.
Tentando di comunicare la crisi spirituale di Hanna, il film cade in qualche eccesso e soprattutto nella ripetizione. Questo effetto di ridondanza, con Hanna in continuo spostamento verso una mèta inesistente senza che questo cammino lasci intravedere un filo di speranza, è certamente angosciante. E quando la donna finisce in ospedale, la sequenza totalmente visionaria in cui si vede un gigantesco orologio appeso al muro è una commistione tra i perturbanti silenzi spezzati da quel nevrotico ticchettio, le solitudini bergmaniane dell'anima e le scenografie espressioniste, kafkiane. Questo peso insopportabile è una inquietante percezione di morte. La gamba della fumatrice è il segnale terribile del degrado che ha corroso l'organismo, dell'irreversibilità di una sofferenza che non può più stemperarsi, nonostante la cura drastica prescritta dai medici.