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Taj Mahal
Anno: 2015
Regista: Nicolas Saada;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 26-10-2015


“Sono loro che dovranno adattarsi.” “Dopo circa 60 ore da quando un gruppo di terroristi ha scatenato l'inferno a Mumbai, le teste di cuoio indiane questa mattina hanno preso il controllo anche dell'hotel Taj Mahal, uccidendo gli ultimi tre estremisti. Il bilancio delle vittime è salito ad almeno 195, di cui 22 stranieri, e 295 feriti, ma è destinato ad aggravarsi, riferiscono fonti ufficiali sul posto.” Questo è il breve racconto de Il Sole 24 Ore del 28 novembre 2008. L’hotel Taj Mahal di Mumbai è stato liberato. Era stato attaccato nello stesso giorno insieme con altri nove obiettivi nella città indiana. Un attacco preordinato, organizzato, ben eseguito, i cui mandati sono da ricercare fra i difficili rapporti fra India e Pakistan. Il regista Nicolas Saada nel film Taj Mahal ci racconta le disavventure di una ragazza belga rinchiusa all’interno dell’albergo il giorno dell’attacco. Il padre di Louise aveva accettato il trasferimento, dal Belgio all’India, offerto dalla sua compagnia. Un lavoro a tempo, molto ben pagato. Arriva a Mumbai con la moglie e la figlia Louise. La struttura della storia è duplice. Si parte come sempre da una situazione ideale. Louise guarda i genitori compiere effusioni di fronte a lei. È annoiata, l’India è un paese molto diverso ma ricco di migliaia di colori, ideale per una studentessa di fotografia. Il Taj Mahal è un albergo lussuoso. Luminoso ma spettrale nonostante l’eleganza e il mobilio raffinato. Questa è la prima parte. Il linguaggio della seconda parte lo descrive il regista: “Avevo l’ambizione di girare un film di tensione senza sangue e senza violenza grafica, con una sola protagonista in luogo chiuso. La testimonianza della vera Louise mi suggeriva vari livelli di terrore, e la regia doveva seguire questa progressione.” Infatti, la protagonista è Louise, chiusa nella stanza senza sapere cosa fare. I terroristi non si vedono; si sentono spari, esplosioni, grida e il cellulare di Louise vibrare. Non ha contatti diretti, parla solo con i genitori che si trovano in strada. Arriva la paura. Sempre l’autore: “Non mi interessava girare un thriller né un classico film drammatico, ma raccontare l’attacco terroristico attraverso lo sguardo delle vittime e stabilire così una forte relazione col pubblico Troppo spesso si parla del terrorismo in termini astratti, senza pensare alla gente che viene colpita.” Louise è la vittima perfetta. Giovane, innocente, estranea, inconsapevole, distaccata dalle faccende politiche. Ha solo voglia di vivere, conoscere, studiare. Essa non sarebbe voluta andare in India, però l’accettò. Loiuse trasforma la stanza in luogo chiuso, una trappola. È una trappola anche per il regista, oppresso della sua stessa visione. Non si riesce a rimanere attanagliati dalle vicende, il montaggio minimo e minimalista non aiuta a fuggire a nostra volta.