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El Clan
Anno: 2015
Regista: Pablo Trapero;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Argentina; Spagna;
Data inserimento nel database: 20-10-2015


“È un ingrato.” In Argentina la dittatura militare arrivo al potere nel 1976. Finì nel 1983 con l’elezione di Raúl Alfonsín. Delle storie dei desaparecidos il cinema ne ha abusato per anni. Il regista Pablo Trapero in The Clan ci mostra una scheggia impazzita di quel momento storico con delle affinità. Arquímedes Puccio è marito e padre affettuoso. Vive con la moglie e i figli. Appare un signore modesto mentre pulisce il marciapiede di fronte casa. In realtà la famiglia Puccio ha un segreto impressionante del quale nessuno sospetta. Arquímedes è un padre severo ma dolce, lo vediamo mentre ha una parola di conforto e paterna per tutti i figli. Poi improvvisamente porta del cibo, preparato dalla moglie, a una persona da loro sequestrata e rinchiusa nel bagno di casa. La loro sconvolgente attività è il rapimento per denaro. Ma per le vittime non c’è speranza. Nonostante il pagamento, i Puccio uccidono sempre il rapito. Dopo diversi rapimenti, il 23 agosto 1985, la polizia fece irruzione in casa Puccio. Liberò una donna segregata e arrestò tutta la famiglia. Il fatto sconvolgente è la gestione familiare dell’attività criminale. A lavorarci c’erano il padre, due aiutanti e poi tutti i figli, con la moglie a occuparsi delle vettovaglie. Alcuni figli fuggiranno, altri ritorneranno per aiutare il padre. Un altro fattore torbido è capire, come siano riusciti a svincolarsela, sebbene i loro sequestri non fossero un modello di efficienza. Sicuramente il soggetto ha qualcosa di sconvolgente. Quello su cui punta l’autore è il carattere dei principali personaggi. Arquímedes Puccio è quello fondamentale, un vero leader, dispotico e a volte premuroso. È il capo, il centro, non accetta che i figli sfuggano al loro destino. Li sconvolge con i sensi di colpa “Dopo tutto quello che ho fatto per voi.” I figli sono sue proprietà. Il figlio Alejandro ha la stessa indole. Accetta i soldi per aprire delle attività, per sposarsi, è il più coinvolto. La relazione fra i due è ripresa con lo stesso linguaggio. Invece è incomprensibile l’atmosfera storica, affrontata con superficialità. È evidente, il regista vuole a tutti i costi inculcarci l’idea di una complicità fra il Clan e i militari. Renderebbe tutto più facile e alla moda: “Si in effetti sembra di essere davanti ad una armata Brancaleone, ma questo era il risultato dell’impunità di cui godeva Arquimedes Puccio, lui era una persona legata al potere e grazie a questo legame è stato largamente protetto. Anche in carcere ha ottenuto delle agevolazioni nonostante abbia negato e fino alla morte qualsiasi addebito. Vi era già stato un caso simile nel 1973 quando ancora non vi era la dittatura e in quel caso il responsabile fu addirittura assolto.” Ma il film poi declina questo compito perché non ha trovato la prova lampante. I loro sequestri sono avvenuti dopo la caduta dei militari, i personaggi rapiti erano gente ricca e indubbiamente con contatti altolocati e troppo amatoriale era l’esecuzione dei rapimenti per essere protetti ad alti livelli. Declinata la parte storica e sociale, rimangono i forti personaggi, e la descrizione di una famiglia fondata sull’orrore. Base della società, il nucleo familiare è capace pure di generare dei mostri, ma questo avviene in ogni epoca, in ogni paese, in dittature e in democrazie, di qualsiasi religione, dimostrazione che i Puccio potevano nascere ovunque.