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Krigen - A War
Anno: 2015
Regista: Tobias Lindholm ;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Danimarca;
Data inserimento nel database: 23-09-2015


“Sì, ma non dal trampolino da tre metri.” Dopo l’11 settembre 2001, l’Afghanistan fu invaso dalle truppe americane e di altre nazioni. La Danimarca partecipò con circa settecento militari. Quando, nel 2013, i soldati danesi si ritirarono, i morti erano quarantatré; percentualmente la più alta rispetto gli altri eserciti. In Danimarca la presenza delle truppe non fu esente da forti critiche e circondata da tanta ostilità. Il sentimento della Danimarca è ripreso in modo freddo e cinico dal regista Tobias Lindholm in Krigen - A War. Tobias Lindholm aveva presentato, sempre a Venezia, nel 2012 A Hijacking, una altra storia con tema la guerra e le conseguenze sui civili. Inoltre Lindholm è uno dei sceneggiatori di Il sospetto, il bellissimo film di Thomas Vinterberg, nel quale gli autori fustigano l’idiozia umana. Questo background ci aiuta a comprendere Krigen - A War, un film amorale, un gesto di denuncia – come Il sospetto – contro l’immorale e peccaminoso desiderio di giudicare: "Questo non è un film morale - è un film pieno di dilemmi". L’ufficiale Claus M. Pedersen guida un battaglione dell’esercito danese di stanza nella provincia afgana. Sono asserragliati in un fortino blindato, intorno ci sono esclusivamente nemici. L’ambiente di solitudine e crudeltà lo inquadriamo da subito, quando durante un quotidiano pattugliamento, un soldato è ucciso. L’autore ci manifesta il dettaglio macabro della violenza. È un momento normale per i militari di stanza in Afghanistan. La moglie di Claus vive in Danimarca, hanno tre bambini piccoli. Maria è stressata, sia per la mancanza del marito, sia perché è difficile accudire tre bambini piuttosto vivaci da sola: “in generale, la guerra è come la vita: complessa e sfumata". La moglie aspetta la chiamata ma non arriva perché il marito è impegnato in un’azione. I due momenti, la vita militare e quella familiare, s’intrecciano, mostrando entrambe una complessità e difficoltà. Anche Maria deve correre all’ospedale, uno dei figli si sente male e i particolari forti non ci sono risparmiate neppure qui. In Afghanistan proseguono le azioni di guerra. I soldati sono caduti in un’imboscata. Sono nel cortile di una casa, i talebani li hanno attaccati. Non si vedono, si sentono solo spari e bombe esplodere. Uno di loro è ferito gravemente. Claus richiederà un attacco aereo per salvargli la vita. Nell’ultima parte della storia, Claus è accusato di essere di avere violato le regole d’ingaggio. “Ero alla ricerca di una prospettiva, e nel 2012 ho letto un articolo su un ufficiale che - prima della sua seconda missione in Afghanistan - diceva di non aver paura di morire in guerra. Aveva più paura di essere perseguito una volta a casa.” Le regole d’ingaggio sono: “norme da osservare da parte di un contingente nazionale per graduare l’uso della forza in presenza di una situazione non favorevole nel corso di un impegno operativo in tempo di pace, di crisi o di guerra”. Vale a dire dei burocrati ideologizzati stabiliscono, seduti in comode poltrone di uffici con aria condizionata, di mandare degli uomini a rischiare la vita, obbligandoli ad attenersi a delle regole stabilite, per non essere perseguitati. Che ne sanno dei politici della guerra? Ovviamente nulla. I militari non solo devono affrontare un nemico, il quale ignora cosa siano le regole d’ingaggio, ma degli insidiosi sabotatori nel proprio paese. Ora, se fossimo squarciati da una bomba, e la salvezza, nostra e di altri compagni, dipendesse dal rispetto delle regole d’ingaggio, che faremmo? C’è ne fregheremmo? Oppure lasceremmo uccidere amici e commilitoni? Claus ha avuto le idee chiare. L’avvocatessa danese che guida l’accusa contro Claus invece avrebbe fatto uccidere famiglia e amici. “Volevo esplorare e discutere la complessità dello sforzo bellico danese. Ho voluto lasciarmi alle spalle l'idea di pro e contro, bene e male, eroi e cattivi, guardando invece alle sfumature.“ Non c’è bene o male perfino nelle scelte dei compagni chiamati a testimoniare. Il film possiede una buona forza visiva, anche se non è una pellicola di guerra con grandi mezzi, ma percepiamo la tensione e la forza della violenza. Se nella prima parte il regista ci attanaglia nella dicotomia alternata fra marito e moglie, nella seconda stende il conformismo parassitario degli avvoltoi. Il processo mantiene un tono ridotto, ma è ugualmente intenso ed esplode nelle continue contraddizioni. Se Claus è un bambinone, rischia la vita per i commilitoni e piange quando incontra i bambini. Maria mantiene la serietà del pragmatismo, Claus era il capo di un battaglione, ma a casa è essa a guidare la battaglia contro l’ipocrisia. Le azioni di guerra mantengono una forza intensa. Certo quando un cecchino danese inquadra nel mirino prima un talebano e poi un bambino pronto a sparare, ci ricorda un altro ben più celebre ‘sniper’ preparato a colpire un ragazzino. Poi a uccidere è l’ironia cattiva del cecchino: “B come bang.” http://it.euronews.com/2013/07/23/afghanistan-iniziato-il-ritiro-dei-soldati-danesi/ www.cineuropa.org/ff.aspx?t=ffocusinterview&l=it&tid=2890&did=298325 www.cineuropa.org/ff.aspx?t=ffocusinterview&l=it&tid=2890&did=298325 www.cineuropa.org/ff.aspx?t=ffocusinterview&l=it&tid=2890&did=298325 www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=501#sthash.mrbAv7mu.dpuf www.cineuropa.org/ff.aspx?t=ffocusinterview&l=it&tid=2890&did=298325