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Due giorni, una notte - Deux jours, une nuit
Anno: 2014
Regista: Jean-Pierre Dardenne; Luc Dardenne;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Belgio; Francia; Italia;
Data inserimento nel database: 08-01-2015


“Non voglio ricominciare.” La bellezza dei fratelli Dardenne è la semplicità con cui raccontano delle storie emotive. Le scene, le inquadrature chiare, decise, distinguono il loro linguaggio. I personaggi non sono tutti uguali, il centro appartiene a un unico carattere, solitamente un bambino, un infante intorno al qualche emergono le debolezze di persone ai margini di una società sempre più difficile. In Due giorni, una notte i registi belga Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne usano le stesse corde, la stessa chiave ma cambia delle regole. Sandra lavora in una fabbrica. Ha avuto una crisi depressiva ed è rimasta a casa per un po’ di tempo. Nonostante la sua assenza, il lavoro è stato portato, avanti anche senza di lei, dagli altri operai. Perciò il suo ritorno nell’opificio è superfluo. Essa insiste, e di fronte alla sua richiesta, il padrone ribalta la scelta sugli operai. Sandra ritornerà se gli altri operai rinunceranno al bonus di mille euro. Pertanto Sandra, in un weekend, deve convincere gli altri a rinunciare ai soldi per consentirla di riprendere a lavorare. Confesso. Io voterei per degli sporchi maledetti soldi quindi non sono obiettivo nel giudicare le scelte degli operai. Però neppure i fratelli Dardenne stiano criticando. Il solo da valutare negativamente è il proprietario, incapace di svolgere il suo mestiere, compreso quello di assumere e licenziare. La storia gira come il solito, con delle differenze. Gli autori registrano l’emotività con la camera molto vicina, insistendo sui tanti personaggi che appaiono durante i due giorni. Sandra incontra i colleghi. I registi descrivono in una sola scena un quadro familiare. Potrebbe addirittura sembrare un film corale. C’è la collega che si rifiuta di incontrarla. Un altro, allenatore di calci di ragazzini, commosso fino a piangere. Un padre e figlio si picchiano perché hanno opinioni diverse. “È quello che Dio mi dice di fare” guida il parere del collega nero. Alcuni sono onesti è gli pronunciano in faccia la verità: hanno bisogno di soldi e non possono rinunciare al bonus. Una collega per determinazione riuscirà a trovare la volontà a lasciare il marito. Tutte le reazioni sono umanamente forti, sia per Sandra, sia per i compagni di lavoro. Di fronte al difficile dilemma perfino i colleghi prendono consapevolezza. Lo choc rende nudi gli autori della scelta, come la probabile vittima, e la risposta di Sandra è continuamente la stessa “mille grazie.” Sandra è la protagonista. La camera sta sempre sulla donna anche perché il film è ricco di telefonate. Essa sta al telefono tanto tempo. Nella scena inziale, Sandra cucina e riceve una chiamata, dalla sua reazione c’è chiaro dell’accadimento di qualcosa di brutto. Ma non sarà l’unica scena. È un continuo di chiamate. Questo crea uno squilibrio perché impone gli autori di monopolizzare la scena su di lei, il mondo intorno appare inesistente. Addirittura i due figli, ancora bambini, stranamente per i fratelli Dardenne, sono offuscati. Se sta nell’autobus intorno non c’è forma di vita. I colleghi servono soltanto per misurare la sua capacità reattiva di fronte allo stress. La speranza nel futuro è rappresentata, nei film dei Dardenne, nei finali work-in-progress. Anche in Due giorni, una notte c’è una speranza.