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Masahista
Anno: 2005
Regista: Brillante Mendoza;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Filippine;
Data inserimento nel database: 17-11-2014


“Sir, the kiss on the lips is meant for the girlfriend” Nel sud-est asiatico, eccitato da crescite esponenziale del PIL, si realizza un cinema moderno, formativo, universale e tradizionale allo stesso tempo. Gli autori hanno studiato, hanno imparato la lezione ma hanno anche mantenuto aperto il canale di comunicazione con il proprio paese d’origine. Percorrono scelte, creano un proprio stile, utilizzano storie di grande respiro, messaggi adattabili e utilizzabili come modello perfino per il decadente occidente. Sono originali, hanno la passione del cinema, percepiscono i sapori della propria cultura, e hanno intelligenza e molta pazienza. Fra gli esempi più belli ci sono il tailandese Apichatpong Weerasethakul e il filippino Brillante Mendoza. Apichatpong Weerasethakul è più poetico, penetra nel cuore dell’anima della Thailandia e nelle sue ambientazioni: la foresta, le voci, i fantasmi. Nel misterioso Tropical Malady due giovani amanti passano il loro tempo insieme, mentre nella seconda parte c’è uno smarrimento nella foresta di uno dei protagonisti; la foresta è il luogo della solitudine umana ma piena di suoni e immagini della vita. Come avviene pure in Lo zio Boonme che si ricorda delle sue vite precedenti - Loong Boonmee raleuk chat nel quale lo zio Boonme si dissolverà nella natura, nella foresta: “gestisci tu l’azienda e poi dopo morto torno io ad aiutarti.” Brillante Mendoza adopera un taglio più apparentemente sociale, ma nello stesso tempo entra profondamente all’interno della famiglia filippina con le sue contraddizioni e le sue difformità. Sono le caratteristiche del film di Mendoza presentato alla Mostra di Venezia nel 2012: Thy Womb – Sinapupunan. Le stesse opzioni ci sono nel suo primo film Masahista – The Masseur vincitore nel 2005 del Festival di Locarno. In Thy Womb - Sinapupunan l’autore ci racconta la storia di una coppia che non può avere figli. Un normale dramma però traslato da Mendoza in uno spettacolare ambiente. Sono dei Bajau, una popolazione musulmana, la quale vive sull’acqua in palafitte di legno nel sud delle Filippine. Possiamo intravvedere entrambe le chiavi di lettura, perché l’autore non pone mai un tema prevalente sull’altro; riesce con immagini profonde, lente, con dialoghi minimali a narrare il dramma di Shaleha, l’ostetrica della popolazione che non riesce a dare un figlio al marito. In Masahista l’autore utilizza lo stesso modello. Ci spiazza raccontandoci con dolcezza e realismo la vita di Iliac, massaggiatore per uomini in un postribolo nella periferia di San Fernando. Ma anche qui, l'adattamento sociale, le difficoltà di una crescita arruffata sono lo scenario della vita di una famiglia, quella di Iliac e delle sue sofferenze. Il cinema di Brillante Mendoza è di un intimismo sociale illuminante e ricercato. I temi sono agitati con equilibrio. È la sua dote migliore, la grazia artistica prevale con un montaggio alternato, dissolvenze incrociate, raccordi, particolari, intrecci, mai veloci, tuttavia precisi e voluti. Iliac è un giovane bel ragazzo filippino. Ha un fisico possente, non sappiamo nulla della sua vita, del suo passato, del perché si trova a lavorare come massaggiatore. Ha una corporatura luminosa. È perché ha questo carattere fisico che ha deciso di lavorare in un bordello? Oppure perché è solo bello e ma non ha altre capacità per emergere, come nello studio? Ha una famiglia: un fratellino, una sorella, una madre e un padre. Postribolo e famiglia sono i suoi due mondi. Spazio e tempo s’intrecciano; nonostante la storia abbia una gestione lineare. Iliac si trova sfalsato nel tempo e nello spazio, la differenza è di un giorno. Il giorno prima lavorava e il secondo seppellisce il padre. Una direzione da noi non vista così semplicemente. Percepiamo una trama unica, perché l’autore utilizza questa cifra stilistica per affermare la sovrapposizione sesso e morte. L’inizio è una soggettiva di Iliac in macchina, in un taxi e poi in risciò, sta raggiungendo casa a San Fernando dopo la notte passata al lavoro. Attraversa campi, edifici, capanne e arriva a destinazione, dove ha la certezza della morte del padre in ospedale. Nella camera mortuaria trova la sua famiglia. Nella scena il regista ci inserisce con maestria e senza scatti, gli avvenimenti della sera prima al lavoro. Di come Iliac abbia trovato un cliente casualmente, è stato la seconda scelta, perché il preferito si è ferito in un piede. Il viaggio a casa è rapido, in macchina e in risciò, alternando riprese dettagliate con alcuni manierismi: uno scontro, lungo e voluto, fra il risciò e una carrozza con cavallo. La camminata verso l’ospedale avviene con l’uso del rallenti per disturbare l’emozione del ragazzo. Il tutto circondato da colori appariscenti, primari come verde e giallo. La famiglia non appare sconvolta della morte dell’uomo, anzi sembra liberata da un peso, anche se la madre, rispettando le tradizioni popolari, sta cercando di organizzare un funerale degno. Le inquadrature sono in campo lungo per rappresentare il ragazzo nella sua condotta e nella ricerca di una dimensione familiare. Differente è il mondo umano rinchiuso nella casa per massaggi, nel luogo di perdizione la vita scorre calorosa e nello stesso tempo discreta. All’interno c’è rapporto umano, una ricerca di affettuosità e di erotismo. Ma quando scade il tempo del massaggio, come nella favola di Cenerentola, tutto si scopre come un’illusione irrealizzabile. Dimentichiamo i fosforescenti gogo bar di Bangkok, il bordello è un edificio separato, autonomo, riservato, chi entra sa cosa cerca. All’interno vige una propria legge, un mondo di ragazzi. “Sir, all the masseurs here are stallions” gli avventori sono personaggi ambigui perché, per la società filippina, l’omosessualità riproduce una debolezza e non una libera scelta di godere voluttuosamente. Il bordello è il mondo preferito da Iliac mentre con la famiglia si sente frastornato, carico di tensioni non chiare. Perciò il regista c’è lo presenta semplice, non appariscente ma intimamente sensuale ed erotico. Un erotismo descritto utilizzando tanti bei ragazzi vistosi ma fidati, circondati con colore e tante cromaticità forti come rosso scuro, verde. Ma il bordello non potrà nascondere Iliac dalle sue agitazioni familiari. Ignora l’sms della madre, con la notizia del padre ricoverato all’ospedale. Lo tiene nascosto ma ci dovrà convivere mentre continua a lavorare, come il film condivide i due momenti spazio tempo. Mendoza incastona i due periodi con tante dissolvenze simili e apparentemente accadute allo stesso momento. Se nel bordello il ragazzo sta spogliando il cliente, contestualmente appare Iliac nell’obitorio mentre aiuta il becchino a vestire il padre nudo. Mentre sta compiendo un massaggio sensuale al piede dell’uomo, spuntano i piedi del padre morto. Il cliente e il padre si stanno mischiando, portandoci a individuare la tensione emotiva di Iliac. Solo, con un padre assente, cerca di sopperire la mancanza occupandosi – non esclusivamente per denaro – di un uomo. Con esso parla apertamente, allegramente, con confidenza. Fra i due, in quella piccola stanza, si crea un legame. Iliac cerca di accrescere il livello relazionale, anche se lo conosce da appena una decina di minuti; lo spinge ad avere un rapporto superiore, come cercando di rivederlo, di uscirci insieme per compere natalizie. Il montaggio è lo stesso, costruttivo perché un particolare del bordello richiama all’obitorio, volontariamente. I due mondi sono sempre più vicini. A casa la madre ha organizzato una veglia funebre, con la recita del padre nostro. Ma il dolore non appare. Tutti sono distratti: mangiano, giocano a carte, pettegolezzano, ridono e soprattutto nessuno piange. Contestualmente il bordello è ripreso dall’alto. È tutto esaurito, tutte le stanzette sono riempite. Il regista ci incanta inquadrandole dall’alto, con una carrellata fra le stanze. Nei cubicoli i massaggiatori stanno sensualmente lavorando il proprio cliente. Le stanze sono piccole, di diverso colore, in tutte il massaggiatore è ripreso di schiena e il cliente sdraiato. È una catena di montaggio, un lavoro ripetitivo, una scena come Tempi Moderni del sesso, ma senza nessuna ironia. Ma sono i corpi dei giovani a rappresentare una società da costruire, da cambiare. Non c’è nessun tema polemico, nessuna disobbedienza politica, si racconta della vita. Tanto meno ci vuole scandalizzare. Gioca con i corpi passionali dei ragazzi, la nudità è fugace ma non impedisce una carnalità forte. È ciò che vedono i clienti, richiamati dal manager effeminato quando li invita a osservare i corpi lucidi. La libidine è accentuata dalla fotografia perfetta. Nelle stanze c’è un’unica fonte di luce, mettendo in chiaroscuro i corpi. Ma la bramosia non ostacola al massaggiatore e cliente e di parlare. “I have a cuckoo for a father” confessa Iliac all’uomo. Mentre lo dice, sa che il padre sta per morire per cirrosi epatica, ma non è triste, è indifferente. D’altro canto il cliente indugia misteriosamente. Racconta la sua vita, è eccitato dal massaggio, sente il calore delle mani spingere i nervi del suo corpo. Potrebbe essere sposato, ma poi ascoltiamo la telefonata della madre. È chiaramente un simbolo. Mente spudoratamente su dove si trova. Anch’egli ha un problema familiare, come il ragazzo. Entrambi si stanno assomigliando sempre di più. Si stanno avvicinando ma capiamo, è un incontro impossibile. Sono due persone solitarie. Solitudine accentuata per Iliac dalla sua ragazza volgare, ubriaca, chiassosa, lo sta aspettando fuori. E mentre la ragazza urla, sbraita, litiga, nel cubicolo il ragazzo e uomo mostrano i loro corpi nudi, ambedue di spalle, con un’unica fonte di luce perfino in questo caso. Una bella immagine ricercata; le due solitudini sono unite esclusivamente in quel breve momento, perché una parete verde li sta separando. Il sesso a pagamento, conciso ed effimero, li sta mischiando per quel veloce momento. Se avessero più coraggio e consapevolezza di una liberazione sociale, potrebbero anche immaginare una vita diversa e forse migliore. Nel funerale tutto è bianco, il sole deforma le immagini, continua il disinteresse dei presenti per la morte: un gruppo di ragazzi gioca a basket nel cortile del cimitero. Sarà la madre a riportare i giusti valori nella misura dovuta. Sarà essa la prima a piangere sconsolata, triste. Perché? Per un uomo che non amava? No, cercava di riportare l’esatta dimensione della famiglia, bella o brutta che sia. Lo stesso accade a Shaleha, la levatrice di Sinapupunan. Essa accetterà la sorte finale senza esitazione. Lo scopo era fare avere un figlio al marito. Non importa se dovrà andarsene una volta raggiunto, cacciata dal marito. La stessa sorte ingannevole accadrà a Iliac. Mentre il massaggio diventa sempre più sensuale, il cliente si trasforma in padre, le due persone si accavallano. Rimane al lavoro mentre è consapevole della morte del padre. Il montaggio veloce ci porta ad affrontare entrambi i momenti. Nel finale il cliente gli chiede il coito finale. Stanno tornando nella loro dimensione, abbandonando la fallace illusoria realtà del bordello colorato. L’uomo scopa rabbiosamente, la sua mente è legata a una libertà che non potrà mai accettare, a una finzione di comportamento cui è condannato perpetuamente. Iliac è nello stesso momento triste, appare sofferente per il rapporto piuttosto violento. Ma non è solo quello. Il mondo gli sta crollando addosso. Il suo viso è malinconico, diviso in due, una parte in luce e l’altra nell’oscurità. Non sorride più, l’atteggiamento amichevole, sociale fino a quel momento mostrato all’uomo, svanisce in quei pochi irritabili istanti dell’happy end. Il pianto finale di Iliac, sconfortato dalla sua situazione, accomuna il giovane con la partenza di Shaleha. Entrambi, ora dovranno riorganizzare il proprio mondo. Il regista affronta il ragazzo con tanto coraggio, accompagnandolo in ogni momento con devozione.