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Le dernier coup de marteau
Anno: 2014
Regista: Alix Delaporte;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia ;
Data inserimento nel database: 22-09-2014


“Vaffanculo Carlo Magno.” Gustav Mahler scrisse la sesta sinfonia detta la Tragica agli inizi del novecento. Nelle sinfonie dell’autore austriaco, i colpi di martello scandiscono i momenti della vita, le gioie e i dolori. La sesta sinfonia sarà l’elemento fasciante dell’esistenza di una famiglia in difficoltà e spezzata nel film francese: Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte. Alla partenza, uno dei favoriti alla vittoria per tanti e validi motivi. Alla fine ha vinto il premio Marcello Matroianni per il miglior giovane attore emergente con il bravissimo e appassionante Paul Romain. La storia inizia con un ragazzo – Victor – mentre sta cercando la madre Nadia. Entrambi vivono in una baraccopoli vicino al mare. Intorno alla loro roulotte ci sono altre famiglie. Victor ha quattordici anni, è bravo a scuola, ha la passione per il calcio. Con i loro vicini spagnoli sta guardando una partita quando arriva la giovane e bellissima Luna. Tutti continuano ad avere gli occhi sulla televisione laddove Victor è estasiato dalla sua bellezza. In seguito con la madre si prendono un po’ di tempo libero e si tuffano in acqua da roccia. Subito dopo il tuffo, Nadia perde la parrucca mostrando la testa rasata. Comprendiamo: è malata di tumore. Ignoriamo il motivo per cui si trovano in quella situazione. L’amore del figlio è immenso, ma gli provoca un peso enorme; non è un ragazzo, un figlio, ma è caricato di una responsabilità non sua. Tanti gli sono sopra, lo spingono e gli chiedono un impegno maggiore: la madre, la scuola, l’allenatore, Luna. Quando scopre la visita del padre – un famoso direttore d’orchestra Samuel Rovinski – nella sua città, non perde l’occasione per cercarlo di conoscere. Ha bisogno di una figura paterna capace di sorreggerlo dai tanti problemi: “Posso restare con lei?” È un film delicato, dolce. La storia stimola un’emozione profonda, per la qualità con cui è scritto. Sicuramente è una sceneggiatura un po’ ruffiana, fa l’occhiolino allo spettatore però è senz'altro efficace, adatta di dare del bel cinema. Unisce tanti temi garbati e appassionanti, capaci di commuovere ma in maniera leggera. C’è il ragazzo bravo, una madre malata, un padre burbero ma commosso dall’apparizione del figlio sconosciuto, c’è il calcio, c’è la musica, dei bei colori, un posto sul mare luminoso, degli amici attenti, una ragazzina piacente. Diciamo anche quello che non c’è. Non c’è autoreferenzialità, non c’è del piagnisteo, non c’è senso di colpa, non ci sono le accuse alla società. La madre non si piange mai addosso. Un difetto però esiste e grande. Forse per questo non è riuscito a vincere. La pecca evidente è il finale. In pratica non esiste; dopo un’attenta scrittura per tutto il film, la sceneggiatura cade proprio al finale. Non è un work in progress perché troppi elementi lasciano intendere il contrario, ma non c’è neppure una conclusione esplicita e lampante. La regia è capace. Impiega la musica – diegetica e metaforica – in modo delizioso per unire le varie fasi. Usa perfino la potenza popolare del calcio. Una bella inquadratura è lo sfogo del ragazzo, il quale palleggia con abilità sulla spiaggia. Il fondo è un affascinante mare di sera mentre la sagoma di Victor è totalmente nera.