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La vida me mata
Anno: 2007
Regista: Sebastián Silva ;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Cile;
Data inserimento nel database: 15-07-2013


“Non mi perderei mai il funerale.” Nel 2009 esce in Italia Affetti e dispetti (La nana) di Sebastián Silva. Il bel film era uno spaccato di una famiglia borghese cilena, vivacizzata da una domestica folle. La tata era Catalina Saavedra, interprete anche della prima pellicola di Silva proiettata alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro: La vida me mata. Nell’esordio già individuiamo, nel regista, una bella mano artistica ripetuta nelle opere successive. Infatti, La vida me mata è una piacevole opera, girata con ironia e con tecnica personale. Siamo di fronte a un film nel film. Si raccontano i momenti di lavorazione di un corto horror. Chabe è una schizofrenica regista, la quale ha al suo servizio un cast stravagante. La prima particolarità di Silva è un racconto in bianco e nero. Solo le scene dell’ipotetico horror – intraviste per mezzo della camera – sono a colori. L’horror è talmente strampalato da risultare comico, perché le avventure dei personaggi si alternano fra follia e depressione sconfinata. Partecipando allo stesso funerale la regista incontra Alvaro un attraente ragazzo. Sedotta, Chabe lo designa attore principale. L’arrivo del ragazzo sconvolge pure la vita del cameraman Gaspar, depresso per la morte del fratello. Gaspar abita in casa con la sorella e il nonno malato sempre a letto. Alvaro è disincantato, semplice, originale, stravagante: durante la veglia per il funerale caccia un insetto e lo uccide schiacciandolo, provocando le reazioni indignate dei parenti. La scena contraltare è Gaspar ripreso mentre cammina triste all’interno della casa, abbandona con gesto espressivo e plateale il bicchiere di latte e va a respirare il gas della caldaia. L’incontro fra i due estremi produce un cambiamento nella loro vita e contestualmente un movimento del film. Diventati amici i due ragazzi, si dedicheranno a conoscere il senso nella morte: “La vita mi uccide”. In realtà, l’unico sul filo del trapasso è il nonno intubato. Sarà lui a dimostrargli il valore della morte costringendoli a guardare negli occhi di un morto. Prima di quel momento la loro ricerca esistenziale era stata farsesca. Lo strangolamento di un uccellino per cogliere l’attimo della sua morte. Ovvero, le disavventure bizzarre in un obitorio di un ospedale. Con una buffa ripresa dall’alto notiamo su un lettino il cadavere e sull’altro l’amico vivo. Gaspar tocca i corpi per comprendere la differenza fra vita e morte. Il tono e il linguaggio sono divertenti ma il fondo è amaro. Il giovane ragazzo, colpito da un lutto in famiglia, non riesce a elaborarlo e rimane ingarbugliato nella sua esistenza. Nel frattempo la registrazione dell’horror – con le sue immagini a colori – continua e si alterna con il periodo reale del racconto. Ma Silva utilizza le fasi temporali come un gioco. Gaspar è a casa della regista, la sorella lo chiama al telefono. Contemporaneamente a quando chiude la conversazione, lo osserviamo entrare in casa. Il tempo non esiste. Uguale è per il nonno in fin di vita. Egli gioca con il fantasma di una vicina. Una condizione forte, la donna lo obbliga a prendere coscienza della situazione e lo sblocca aiutandolo a completare i tanti cruciverba sospesi. Con una musica ironica la storia giunge alla conclusione. Anzi le storie terminano insieme. La morte avrà per Gaspar una dimensione, non avrà più paura e non cercherà di fuggirgli. Pure l’horror – con una seconda ripresa – termina. Il giudizio critico dei partecipanti non è disinteressato, e per nulla modesto: “Allora il film è Dio”. Se l’horror è perfetto, e se la perfezione è la rappresentazione di Dio, la conseguenza è che il film è Dio. Certo La vida me mata non è Dio, però è un bel racconto, con spunti interessanti, un’elevata dose d’ironia, delle scene toccanti nascoste da un fine umorismo. Un montaggio veloce – ironico – una camera posta ovunque, consentendoci di scorgere la stessa scena in modi diversi, e soprattutto una ripresa in anticipo sull’evento ci consente di presagire il futuro. Alcuni esempi. La bella partenza. Un inizio staccato, un preambolo collegato alla storia della una morte improvvisa. Una madre ossessiva, una ragazzina timida e incapace di invitare alla sua festa di compleanno un ragazzino. La madre fracassona e impicciona lo fa al suo posto, creando imbarazzo. Poi la gara dei 110 ostacoli e il fatale destino. Tutto girato in bianco e nero in modo vivace. La nascita dell’amicizia fra i due ragazzi nasce dopo un tentativo di suicidio di Gaspar. Alvaro gli cura la ferita: campo medio, ognuno seduto nel proprio letto. Qualcosa fra i due sta nascendo, c’è un legame. Improvvisamente schermo scuro, la descrizione della morte è repentina e deve essere scacciata subito. L’incubo di Gaspar. Nel letto ha un sogno funesto, è assorbito dalla tensione, sbalza dal letto e ripiomba nello stesso.