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La vida de los peces
Anno: 2010
Regista: Matías Bize;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Cile; Francia;
Data inserimento nel database: 04-07-2013


“L’unica volta che ho fatto una cosa a tre era quando mia moglie era incinta.” Andrés vive a Berlino da dieci anni. È giornalista turistico, ed è sempre in viaggio per il mondo. Nato e cresciuto a Santiago, è ritornato per sistemare alcune faccende economiche rimaste sospese. Definite le vendite nulla lo collegherà alla sua patria, ai vecchi amici, alle persone care, all’ex fidanzata. In Cile è rimasto fino a ventitré anni. La sua adolescenza, la sua personalità sono cresciuti a Santiago. E nella capitale cilena c’è ancora il suo cuore. È l’inizio di La vida de los peces del regista cileno Matías Bize del 2010. La pellicola è un esempio fenomenale di una mano discreta, di una rappresentazione di una tenerezza umana, capace di commuovere con una storia semplice, senza mai alzare la voce, senza essere violento. È tutto ambientato nella casa di Pablo dove si tiene una festa per il suo compleanno. Andrés gira per casa, per le stanze, nei lunghi corridoi costretto a rivivere quei sentimenti incancellabili della gioventù. L’inizio è un confronto con gli amici di un tempo. Ora sono grandi, hanno la propria vita, si affrontano uno con l’altro con mestizia per i tempi passati e con senso si colpa perché l’amicizia se ne sta andando. La camera gira, fra i volti dei vari personaggi, con un ricco campo controcampo. In queste facce, nelle parole, nelle pause c’è un’emozione di mestizia ricca di rimpianti per il tempo andato. Esce dalla stanza degli amici e Andrés si ritrova con l’amica Mariana. È cambiata, ha un figlio ed è di nuovo incinta: “È che non abbiamo la tv in camera”. Pure con lei c’è un lungo piano sequenza, con campi e controcampi emozionanti, perché così deve essere il ricordo. Il regista in questa seconda scena è bravo a emozionarci, raccontando la tenerezza del ricordo con immagini pulite e bene recitate. Inoltre aggiunge dei dialoghi leggeri, semplici, spiritosi. Perché Matías Bize non vuole essere pedante. Vuole raccontarci una vicenda personale in modo tenero e perfino allegro, perché le rievocazioni sono anche piacevoli. Perciò arriva il fatidico incontro/scontro con la nuova generazione, con dei ragazzini figli dei suoi amici. Bizzarra scena, i ragazzini, mentre giocano con un video game, lo sommergono di domande folli e adolescenziali: “hai fumato hashish?” “hai mai scopato senza preservativo?” “hai fatto il test del HIV?” “hai fatto sesso anale?”. È un dialogo fra due generazioni. Se fosse rimasto in Cile, potrebbero essere i suoi figli. Divertente perché il regista s’inventa una sparata allegra di un ormonale ragazzino sui benefici dello sperma erogato nel viso di una ragazza: una cura contro le rughe favorendo così la giovinezza. Un altro mondo è l’incontro con la sorellina – ora adolescente e bella – di uno degli amici. Con un gruppo di coetanee si ritrova ubriaca e drogata, Andrés si deve difendere dalle sue smaniose advance. C’è pure un mondo scomparso. Un amico morto Francisco, il suo migliore amico, un dolore e un ricordo attuale, tuttora presente. In cucina affronta l’anziana madre dell’amico. Una scena e un piano sequenza emozionante, essa parla di Francisco con voce dolce, con lunghi tempi di sospensione. Turbamento interrotto dal coro happy birthday proveniente dal salone. Spinto dall’emozione, si ritrova nella stanza di Francisco, come gli aveva detto la madre, rimasta intatta come il giorno della sua morte. Fra delle vecchie foto incontra il fratello minore di Francisco, ora grande. Con lui è spinto a ricordare l’amico morto, perché entrambi condividono questo un dolore immenso, entrambi cercano di mantenere una vitalità a prescindere dal lutto. Ma il vecchio mondo di Andrés non si costruisce solo nelle diverse stanze. Arriva il momento più voluto e temuto: il confronto con l’ex fidanzata Beatriz. Per lei ancora gira nelle varie camere. Per lei il distacco finale è doloroso. Deve chiarire i motivi di quell’allontanamento e deve dimostrargli, ancor oggi, il suo amore. Prima di questo incontro i dialoghi erano rimasti teneri, ora la conversazione con Beatriz è struggente e dolorosa. Staccarsi è complicato. Dopo aver passeggiato e incontrato i fantasmi lontani, ora affronta un passato ancora mai cancellato. Ecco l’acquario, l’ambiente dei pesci. Come un grande pesce Andrés ha nuotato nelle varie stanze, si è imbattuto in una varietà colorata di pesci, sia piccoli sia grandi; ma tutti hanno bisogno di quel grande acquario per vivere. Nelle camere della casa di Pablo si ricostruisce un trascorso di ricordi, dolori, gioie, emozioni, commozione, turbamenti. Non c’è mai rabbia, delusione, depressione; il film è bello per la grande abilità di un giovane regista, il quale ha composto una storia limpida, serena ma nello stesso tempo emozionante ed eccitante. Lunghi campi sequenza, minimalismo, l’organizzazione di personaggi vitali reali commoventi, accompagnati da dialoghi brillanti senza mai forzature snobistiche.