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Linhas de Wellington
Anno: 2012
Regista: Valeria Sarmento;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia; Portogallo;
Data inserimento nel database: 24-09-2012


“Meno morti più eroi.” Linhas de Wellington fu un’idea del regista cileno Raoul Ruiz. Purtroppo morì in pre-produzione. Fu chiamato a dirigere il film la sua collaboratrice, nonché moglie Valeria Sarmento. Per tributo all’autore sudamericano, alcuni attori importanti parteciparono condivertenti camei. Linhas de Wellingtonracconta un episodio della storia portoghese. Nel 1808 le truppe francesi di Napoleone invasero la Spagna. Nel 1810 entrarono anche in Portogallo. Ad aiutare le deboli forze iberiche, gli inglesi inviarono in Portogallo delle truppe, comandate da Wellington. Un frammento, degli avvenimenti del 1810, è lo sfondo storico della pellicola. La regista ci disegna un affresco corale, con un formicolare di personaggi e di scene. La struttura è una moltitudine d’inquadrature, di seguito montate con delicatezza, soprattutto utilizzando un montaggio in dissolvenza orizzontale, con voci in fuori campo in francese o in portoghese,secondo la nazionalità del narratore. Lungo la strada per Lisbona, si passa in rassegna plurime situazioni in campo totale, procedendoinquadratura a inquadratura. Il film ci racconta l’orgoglio portoghese, la sua volontà a ribellarsi contro il tentativo dei francesi di sottometterli. Anche degli inglesi, in teoria alleati, non sono simpatici, poiché visti anche loro come invasori. L’altra chiave di lettura èl’evidente condanna della guerra. Sebbene non utilizzi scene massicce di battaglie, gli orrori della guerra entrano forzatamente attraverso il cuore e le emozioni dei personaggi. La regista si concede con passione, con devozione a questo compito, il più caro pure al marito. Ci sono anche momenti disperati come le varie morti di giovani e ragazzi. Oppure, come il coito iniziato da un polacco disertore con il cadavere di una giovane e bella ragazza, incontrata sulla strada. Oppure, l’armata di un prete fanatico, nonostante la guidasse al grido “Abbasso la libertà, viva la Vergine Maria”compirà delle carneficine. Però l’autrice elimina la pedanteria di una storia verista, con una serie di riprese ironiche e superbamente recitati. Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Michel Piccoli si ritrovano a tavola con un ufficiale inglese. Iniziano un singolare battibecco, parlandosi sopra e disinteressandosi uno con l’altro. Oppure, un’adolescente sta seducendo un maggiore dell’esercito. Poiché gli sembra troppo giovane, la ragazza gli racconta, in modo naturale, di avere una lunga esperienza sessuale … con il fratello. Oppure, il letterato che nella fuga si porta appresso maggiordomo, la sua poltrona e tutta la libreria piena di volumi. Il mondo è in fiamme ma lui continua a leggere. La cultura è vista nel suo distacco con la realtà, quando invece dovrebbe intervenire direttamente. Poi arriva Wellington. Il potente generale recitato con scherno da un fantastico John Malkovich. Il generale è nelle retrovie. La ritirata da lui ordinata sta provocando uneccidio. Eppure lui è tranquillamente a colloquio con un pittore, al quale ha ordinato di dipingerlo durante la battaglia. È scontento del lavoro dell’artista, lo richiama sempre, lo consiglia o meglio gli ordina, come eseguire uno sfondo ovvero un particolare. Getta con disprezzo i disegni non adeguati a creare la sua personalità. È la metafora dell’arroganza del potere, dell’altezzosità dei generali, indifferenti a ordinare l’uccisione dei suoi uomini, ma attenti a risultare, per l’opinione pubblica, i veri artefici di una vittoria. Nell’ultima breve apparizione, con tono sarcastico, Wellington recita la ricetta del Filetto alla Wellington allo stupefacente pittore. “La morte non è contagiosa” sicuramente non lo è per i generali. La storia è un prodotto per la tv in più puntate, presentato a Venezia, nella sua trasposizione cinematografica. Una pletora di personaggi e avvenimenti richiede tempo, perciò indubitabilmentela versione televisiva sarà perfetta, mentre per un film è un po’ troppo lungo (due ore e mezzo), con dei dialoghi eccessivi e disordinate apparizione di tanti.