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FB: Fighting Beat
Anno: 2007
Regista: Piti Jaturaphat;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Thailandia;
Data inserimento nel database: 01-06-2012


“Here on this island, no matter who we are or where we are from.” Le isole del mare della Thailandia sono luoghi stupendi. Sono il sogno agognato di tanti turisti, ricchi o meno, desiderosi di poter trovare la loro settimanale narcotica pace su finissime spiagge. Pure le più remote isole del golfo del Siam sono straripanti di viaggiatori palesemente convinti di essere di dei David Livingstone e di stare esplorando una landa sperduta e pericoloso. La loro nebbia mentale è così forte da non si rendersi conto di essere oggetto di scherno e derisione dagli abitanti del luogo, i quali gestiscono gelosamente la loro cultura e la loro tradizione. Ma i villeggianti si disinteressano a questi aspetti, accettano di possedere solo la parte folkorista senza conoscere la dimensione spirituale. È l’inizio del film tailandese del 2007 FB: Fighting Beat del regista Piti Jaturaphat. Siamo in una piccola isola. Khem è un fanciullo il cui padre è ucciso durante una rissa senza pietà. Rimasto solo il bambino sarà accolto nella casa di un monaco, e sarà educato secondo i principi del karma: “Every man has his own karma, son.” Ora Khem si è trasformato in un ragazzo forte e lavora con i suoi amici come accompagnatore di turisti su una barca. Ma è la notte il momento della trasfigurazione di Khem. Seguito dal suo gruppo di sodali arrotondano come animatori in un popolare bar all’aperto dell’isola frequentato dai turisti. Con l’aiuto e i consigli del monaco Khem è riuscito a canalizzare la rabbia, l’odio, la violenza del suo passato nella potenza e nella abilità della Thai boxing. La Thai boxing o Muay Thai ha origine in tempi antichissimi, frutto della necessità di sopravvivere, abbinata alla forte spiritualità e capacità di meditazione. Con l’unione di questi fattori la Muay Thai diventa una mistica tradizionale. Come avviene ad esempio ai tanti praticanti di yoga, anche nella Thai boxing, l’occidentale – rimbambito da anni di positivismo - percepisce la materialità non comprendendo l’essenza religiosa e spirituale. Il film è azione, divertimento, velocità. Il linguaggio è quello del video giochi, tutto immagine elettriche, luci psichedeliche, musica ritmata. Si parte descrivendo la vita normale di un gruppo di ragazzi prima della tempesta. Il loro modo di guadagnare è sfruttare la stupidità dei denarosi turisti. Dopo aver accompagnato in barca gli stranieri, mostrandogli ‘’spaventosi squali’’, Khem, con amici si trasferisce nel bar. Nel locale un dj lancia musica psichedelica, mentre al centro, in un ring, i ragazzi tailandesi fintamente spavaldi sfidano i visitatori a gare di Thai boxing. Poiché business is business il giovane Thai perde sempre sotto i ‘’terrificanti’’ colpi del forestiero. Ovviamente è tutta una messinscena, il forestiero avventore è felice, ma soprattutto convinto di essere un terribile e spietato guerriero. La sua gioia è immensa, allora guardando pietoso il ragazzo Thai a terra – artificialmente - privo di sensi, accetta senza problema la proposta dell’arbitro di lasciargli un “tip for hospital.” La mancia a fine di serata sarà divisa allegramente dai ragazzi. Il piacevole inizio è un bello spaccato sociale sul turismo e sulla nostra presunzione di conoscere i paesi da noi visitati. La scena del tonto inglese, persuaso di aver vinto per merito un incontro di boxe, è meritoria e da proiettare alle comitive prima di ogni partenza insieme a Le vacanze intelligenti con Alberto Sordi e Anna Longhi. Tutto sommato però la vita dell’isola procede serenamente, in un mondo dove l’amicizia è predominante. L’unico momento di nostalgia è il dolore di Khem, manifestato con frequenti flash back del momento dell’assassinio del padre: “I don’t understand why, when we love someone or have deep affection for someone, why do we have always prepare ourselves in having to loose them?” Il tono della storia cambia, l’isola, il mare, i tramonti, i paesaggi sono accantonati perché in scena entra il turista cattivo. Anche lui è convinto di essere il migliore combattente del mondo e soprattutto, con la superbia dei suoi dollari, vuole prepotentemente comperare bar e popolazione. E qui entra in gioco il patriottismo della gente dell’antico Siam. La resistenza contro l’acquisto del locale è il simbolo della volontà di non essere soprafatti. Si rassegnano di avere dei maleducati e ignoranti turisti fessi sul loro territorio, ma non possono accettare una cattiva arroganza finalizzata alla globalizzazione delle terre e della propria cultura. Quale miglior strumento di difesa del bar che l’antica arte del combattere? Da questo momento la Thai boxing diventa il sacro simbolo della storia di un popolo, ed è utilizzata per sopravvivere contro le invasioni, perché la Thai boxing è la tradizione. Nella pellicola il regista lo racconta durante gli allenamenti dei ragazzi da parte del maestro. Le scene di preparazione sono montate, alternate in dissolvenza con antichi disegni dei combattimenti di Thai boxing della antica storia della Thailandia. I ragazzi sono in addestramento e in dissolvenza, entrano e si confondono con antiche rappresentazioni di combattenti, il tutto associato alla voce fuori campo del maestro, il quale racconta il segreto: “Thai boxing does nor require postures and styles or violent force … is the fighter’s heart”; non bisogna combattere con la violenza, ma affrontare la sfida con il cuore. Dopo gli allenamenti inizia la lotta, la guerra contro i nemici. Il film si riempie di ricchi combattimenti, montati spesso al ralenti per poter dare l’effetto accelerato. Sono sfide violente, con colpi efficaci e potenti. Ma il regista si concede la sottile ironia di scherzarci sopra. Ecco apparire nell’orgasmo della mischia un travestito tutto truccato, oppure il coraggio disincantato di qualche ragazzo pronto a sfidare un nugolo di nemici per poi cambiare idea e fuggire all’istante. Per la loro superiorità numerica la vittoria appare vicina agli uomini del cattivo occidentale, ma Khem ha imparato il segreto del suo maestro “seeing your opponent”: senza utilizzare gli occhi bisogna vedere l’avversario. Khem, lo vedrà senza guardarlo fisicamente e capirà che il trionfo non è nella sua potenza fisica ma negli insegnamenti del suo monaco riguardo al suo karma: “Every man has his own karma. We cannot escape whether we are good, bad, white, black, alive or dead.” Perchè la spiritualità del film sta nello sguardo umile e modesto con cui Khem contempla il suo monaco e con la devozione con cui lo cura dalla sua malattia. Il monaco è il cuore della Thai boxing, i muscoli dei ragazzi la parte materiale. Pellicola di azione, costruita con tutti gli elementi del cinema moderno tailandese: giovani, musica, tradizione, cultura, karma, combattimento. Tutti sono montati, a volte centrifugati, altre centellinanti, ma sempre i registi hanno un gran cuore, una grande passione per la propria terra.