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The Lady
Anno: 2011
Regista: Luc Besson;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia; UK;
Data inserimento nel database: 03-04-2012


Non ci resta che aggrapparci alla speranza. In questi giorni Aung San Suu Kyi stata eletta deputato presso il Parlamento birmano. stata una battaglia prolungata di una donna testarda e ostinata, capace di utilizzare al meglio un condiscendente marketing internazionale. La Birmania stata colonia inglese per lungo tempo. Nel 1942 i giapponesi la invadono. A facilitare loccupazione ci fu Aung San. Eroe nazionale e padre di Aung San Suu Kyi. La speranza di avere il loro sostegno nellindipendenza dagli inglesi fu la ragione del suo supporto. Ben presto cap limpossibilit di realizzare il suo scopo; le mire dei giapponesi erano molto diverse e la funzione della Birmania sarebbe potuta diventare addirittura peggiore con una dominazione nipponica. Perci contratt un accordo segreto con gli inglesi. Finita la guerra, la Birmania non ebbe subito lindipendenza, dovr aspettare il 4 gennaio del 1948. Ma Aung San non ebbe mai la soddisfazione di vedere il suo paese libero, perch nominato primo ministro, fu ucciso nel 1947 da un rivale politico birmano. The Lady del regista francese Luc Besson inizia raccontando questultimo episodio. In una bellissima casa di Rangon, la bambina Aung San Suu Kyi appare in tutta la sua ingenuit mentre coccolata dal padre. lidillio in un ambiente sereno e pieno di amore. Era lultima volta cui lo vide vivo. Il resto della storia racconta lagiografia della donna, dividendo la sua vita secondo la realt: met birmana e met inglese. Trasferita da ragazza in Inghilterra per gli studi, si spos con un professore universitario Michael Aris con il quale ebbe due figli Kim e Alexander. La sua cultura a Oxford era conforme ai modelli occidentali. La dicotomia: privata o pubblica, famiglia o nazione saranno i tpoi del film. Nel 1988 lascer Oxford per tornare come credeva - temporaneamente a Rangoon ad assistere la madre morente. La sua esistenza fu travolta dagli eventi politici e militari. Sar uno scontro a distanza con i generali dittatori, accettando la loro sfida si costrinse a fermarsi in Birmania per il resto della vita. Sulla descrizione dei generali, Luc Besson si diverte mimetizzandoli come giullari di un circo. Le divise ricche di medaglie, le facce da bevitori di taverne del porto, le nefandezze suggerite da chiromanti folli. Non appaiono come nemici spietati, ma come delle caricature, una via di mezzo fra Pinochet e Hitler. Dobbiamo ridere o piangere? Pure gli scagnozzi dei generali, dei mestieranti del lavoro sporco, diventano macchiette colorate: il comandante della frontiera, attraverso cui passa la droga, ha il viso segnato da tatuaggi, in contrasto con i vestiti bianchi e il viso da bravi ragazzi degli studenti. Il tratteggio dei generali ha un effetto contrario, il camuffamento nasconde chi concretamente sono, da dove nascono e perch si trovano a comandare il paese. Un fazzoletto rosso girato intorno al collo non un simbolo; simbolo il generale affannato nella corsa: con le sue medaglie si nasconde per ascoltare le fantasie di una veggente. Il regista lo accompagna con un primo piano, riempitivo della scena; si deve dimenticare il contesto, lo si deve deridere annichilendo la conoscenza. Lesecuzione fumettistica esclude la possibilit di comprendere il padre politico della dittatura, perch non sono delle creature piovute dal cielo, in realt hanno delle consolidate entrature interne e internazionali. Laspetto folcloristico una scelta precisa del regista, in similitudine con laltra cifra stilistica: lagiografia. Lo stesso regista avr uno scatto autoironico quando Michael, il marito trasognante, proclama alla moglie: Lo sai che il mondo daccordo per dichiararti santa? Perch Luc Besson tratta la leader birmana come se fosse Giovanna dArco, sulla cui vita diresse un film nel 1999. Per entrambe le donne usa le stesse motivazioni. Aung San Suu Kyi sempre in prima fila nelle manifestazioni. Quando i soldati gli puntano i fucili per obbligarla a indietreggiare, lei continua a camminare con lo sguardo fiero, illuminato e segnato da qualche Dio. Come Giovanna dArca attraversa indenne le cruente battaglie contro gli inglesi, indifferente del pericolo la donna birmana attraversa i fucili con il suo profilo fiero e risoluto. Che fosse una santa sintuisce dallinizio. Da bambina il suo primo piano continuamente segnato da una luce. Nel crescere sar il profilo volitivo e da asceta a dare il tempo della narrazione. Quando suona il pianoforte si raggiunge lapoteosi diabetica. Nel 1991 grazie allazione del marito rimasto in patria - Aung San Suu Kyi premiata con il premio Nobel per la pace. (Lo sapevate che per partecipare basta presentare un curriculum?) La consegna dei premi per il regista ha una bistruttura parallela. Nellimmensa sala delle premiazioni di Oslo, il marito e i figli camminano irrequieti per ricevere il famoso premio. A Rangoon - agli arresti domiciliari la vincitrice marcia nervosa in casa, in attesa di una trasfigurazione, come Ges di fronte a Elia e Mos sul monte Tabor. Il teletrasporto avviene metaforicamente: a Oslo lorchestra dopo la premiazione inizia a eseguire Tout sen Va deja. La signora birmana siede al suo pianoforte e, ascoltando la musica ricevuta via radio, inizia a suonare accompagnando la sinfonia nella solitudine della sua immensa casa. Segue poi un crescendo di santificazione con nomi altisonanti sparati nel mucchio: Desmond Mpilo Tutu, Dalai Lama. Della Birmania che rimane? Di una nazione appassionate, religiosa, ancestrale? Poco e niente. Il film piatto, manca di atmosfera, di sensazione, di cifra stilistica. Non bastano i longyi indossati dai ragazzi per plasmare la Birmania. Sono inutili le melense cartoline della Pagoda di Shwedagon, o le documentaristiche donne Padaung; come fuori luogo sono le immagini della marcia dei monaci per le strade di Yangon. Luc Bresson non George Orwell. Lo scrittore inglese con Giorni in Birmania un entusiasmante e credibile costruttore di ambientazione degli indo-inglese. Un libro su Gandhi nelle mani di Aung San Suu Kyi e di altri seguaci per dispiegare un dettaglio semantico. Perch Gandhi e la Aung San Suu Kyi hanno qualcosa in comune. Entrambi hanno avuto uneducazione occidentale, entrambi sono influenzati dai paesi dei loro studi, risultando pi figli dellInghilterra che dei loro paesi nativi. La mancanza di atmosfera nasce dalla manchevolezza principe: loccidentalizzazione. Besson rifiuta dubbi, umanizzazione, difetti. La perfezione umana scatena lambizione di applicare un linguaggio altrettanto divino; impossibile, e il regista accantona la voglia di comprendere; con una tesi prevenuta e si scatena plasmando una Aung San Suu Kyi uguale a Giovanna dArco. Il film perde di passione, il linguaggio diventa falsamente poetico per stabilizzarsi in fascianti riprese di luce mistica sulla signora. Il titolo rappresentativo The Lady in inglese. la stessa lingua con cui la prigioniera scrive su cartelloni da appendere e mostrare ai soldati di guardia. Se non sono scritte in birmano ma in inglese, la ragione precisa. Daltronde il regista si perde anche nella lingua da scegliere, unendo, trasformando e confondendosi. Il privato tratteggiato per creare unalternativa al segmento politico. Un marito incapace nella gestione famigliare rimane solo con due figli ancora adolescenti. Poteva essere la parte psicologica, doveva dare il carburante, la vitamina energetica invece rimane punteggiata in qualche sparuto brandello. Il marito sta morendo a Oxford, lei manifesta una finta tristezza, confermando con fermezza e determinazione il desiderio di non lasciare la Birmania. Prevale limpulso politico. Prevale la superbia della donna. Solo il figlio Kim ha il coraggio di accennargli un leggero rimprovero per la sua lontananza, il giorno del decesso di Michael. Lei oramai veleggia in paradiso, tronfia, piena di se, incapace di rappresentare lei come donna. Con dei fiori sempre in testa, Michelle Yeoh unicona mitizzata. Luc Bresson simbroglia e nonostante la buona volont soffre dello stesso peccato: la superbia. Di questo peccato capitale il film contaminato.