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Almanya La mia famiglia va in Germania - Almanya Willkommen in Deutschland
Anno: 2011
Regista: Yasemin Samdereli ;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Germania ;
Data inserimento nel database: 19-01-2012


“Non è un vero turco” Nel 1964 in Anatolia, Turchia, il giovane e prestante Hüseyin corteggia la bella e giovane Fatma. Il suo decisionismo non si ferma neppure di fronte al no dei genitori della fidanzata, vuole solo lei. La rapisce e si sposano. Hanno dei figli, però la vita in Turchia è dura, il lavoro è poco e il guadagno ancor meno. Coglie una voce di una Germania nella attesa febbrile e gioiosa di giovani lavoratori turchi da impiegare nelle loro fabbriche. Partito in un primo momento da solo, ritorna a trovare la famiglia. Il più piccolo dei figli però non lo riconosce, allora decide di trasferire la famiglia in Germania. Da questo antefatto, parte il film. Hüseyin e Fatma dopo le traversie iniziali si ambienteranno e la famiglia si allargherà. Avranno un’altra figlia, e figli si sposeranno ed avranno dei nipoti. Una famiglia felice. La regista Yasemin Samdereli è di chiare origini turche ma nata nel 1973 a Dortmund. Nel suo curriculum c’è anche la sceneggiatura di un episodio della divertente e caustica serie televisiva tedesca: Kebab for Breakfast, sulle vicissitudini di due famiglie, una turca ed una tedesca, negli eroici tentativi di realizzare una nuova unione. La tradizione di registi turchi, nati e cresciuti in Germania, è rappresentata dal regista amburghese Fatih Akin, con una cinematografia dura e spietata: ricordiamo il drammatico La sposa turca. Però, Fatih Akin, mantenendo una cifra drammatica, ha recentemente diretto il film Soul Kitchen concedendosi un tono più lieve e delicato. L’integrazione degli immigrati è difficile; non deve essere interpretata esclusivamente come una perenne catastrofe umanitaria. Yasemin Samdereli è molto delicata e riguardosa. Descrive tutto con leggerezza, si comporta con discrezione, molto premurosa e attenta a non offendere; neppure vuole prendersi troppo sul serio. Ecco eliminati definitivamente la convinzione di una popolazione tedesca con deliri nazisti; in realtà i tedeschi sono imperfetti, ma non sono dei cacciatori di scalpi turchi. Così i turchi, sono brave persone, dei lavoratori, però hanno anche loro dei bei difetti. Il passaggio differenziale tedeschi/turchi è superato con la terza generazione. Il nipote di Hüseyin è un vero tedesco. Non parla turco, non conosce nulla della tradizione ottomana, frequenta una classe multietnica, senza una predominazione turca. È così tedesco che nella partitella di calcio Germania contro Turchia, sono i suoi amici turchi a scaraventarlo nell’altra squadra: “Non è un vero turco” . Consapevole di una tradizione in via di estinzione, di una famiglia senza contatti con una cultura millenaria, il nonno – di nascosta alla moglie Fatma, felice di vivere in Germania – acquista una casa nel suo antico paese della Turchia. Non solo; vuole trascinare tutta la famiglia – generi e nuore comprese – a vedere la sua costruzione. La pellicola si trasforma nel più classico dei road movie. Si parte con radici incerte e si ritorna, con una nazionalità tedesca, ma una coscienza di avere una discendenza turca indelebile. Il viaggio trasforma indeterminatezza in consapevolezza della propria vita e delle proprie origini. È un film con una cifra stilistica ricca di montaggio, di flash back in una Turchia e Germania anni sessanta. La regista gestisce questi momenti con scene veloci, come delle comiche antiche, dove tutto è forzatamente ironico, dove i colori sono falsi e gli attori si muovono nevroticamente. Si deve ricreare un mondo diverso, un ricordo distante e romantico. Per riuscirci si concede ad una autoironia possente, i giovani Hüseyin e Fatma sono dei burattini nelle sue mani. Con il trasferimento in Germania l’atmosfera diventa esagerata. La camera spara delle figure deformi. Fra tedeschi e turchi tutti sono portati ad esasperare le proprio abitudini e le proprie culture. La scoperta del water per i turchi è percepita, in un primo momento, come una demoniaca presenza. Poi si trasforma, durante una vacanza in Turchia, come un desiderio irrinunciabile rispetto ai terrificanti bagni alla turca. Così i tedeschi sono folli organizzatori di una burocrazia senza limiti. Durante un sogno, l’ottenimento della cittadinanza tedesca per Hüseyin e Fatma, cambia in incubo. Un funzionario del comune è spasmodicamente impegnato a timbrare l’inverosimile, e Hüseyin, durante il ritorno con il passaporto germanico, si trasforma in un Hitler spaurito. Infatti, la paura di Hüseyin nasce con l’accettazione della loro richiesta di cittadinanza. Ha il timore di perdere la sua vita, le sue origini, la sorgente dell’amore e della famiglia. Nessuno è cattivo nel film, i colori sono sempre tenui, quasi a rimarcare la gentilezza di voler affrontare con attenzione e riserbo un argomento spesso trattato in modo fanatico, con volontà ad accusare gli altri e mai pronti alla autocritica. Per tutta la storia, è nonno Hüseyin a tirare le fila del discorso, ad unire la sua tradizione, alla mezza tradizione dei figli e alla nessuna tradizione dei nipoti. Lui comprende tutti i membri della sua famiglia, alcuni dei quali hanno dei problemi intensi, mentre altri hanno delle flagellazioni psicologiche da combattere. Alla fine il contatto con una tradizione è raggiunto. Non c’è nulla da fare: oramai sono dei tedeschi e la loro nuova nazione è la Germania. Però, con il loro viaggio hanno visto un piccolo paese sperduto della Turchia – dove il nonno corteggiava goffamente la nonna. In quel villaggio c’è un muro, oltrepassato il quale c’è uno splendore di terra e colline; da quel luogo nel 1964 degli sprovveduti, ma volenterosi giovani turchi sono partiti. Alcune scene sono micidiali per la loro accuratezza ironica. Del sogno, la notte precedente all’ottenimento della cittadinanza - ho già parlato. A questo si può aggiungere il divertente e comico desiderio dei figli a festeggiare il Natale. I genitori ovviamente nulla conoscono di questo Natale e della tradizione a consegnare dei regali ai bambini. Allora, i figli insegnano ai genitori come comportare, quale è la prassi istituzionale di un perfetto Natale tedesco. Accadono, per impreparazione, errori, equivoci e gaffe. Però – nonostante la leggerezza descrittiva – la scena è significativa. I figli hanno un desiderio forte di assomigliare ai loro compagni di scuola, perché l’aspirazione dei ragazzi è di amalgamarsi, di non sentirsi diversi, di far gruppo insieme ai loro amici, e questo è un desiderio innegabile ed universale per i giovani. I loro genitori non hanno intenzione a negare la giusta aspirazione dei figli, nonostante il Natale non è parte della loro vita. Per ultimo c’è la scena della farneticazione dei luoghi comuni. Senza conoscenza, senza studio, senza approfondimento certe realtà sono trasformate in folclore e leggenda metropolitana. Del crocefisso si racconta che sia l’adorazione di un morto per nascondere il terribile vizio dei tedeschi: il cannibalismo. I bambini turchi – appena arrivati – si inseguono con un crocefisso in mano. La dolce ironia condisce la scena in una divertente farsa. I luoghi comuni sono tanti, non è la tolleranza la via giusta, ma la conoscenza e il dialogo.