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Drive
Anno: 2011
Regista: Nicolas Winding Refn;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 07-12-2011


“If I drive for you, you give me a time and a place. I give you a five-minute window, anything happens in that five minutes and I'm yours no matter what. I don't sit in while you're running it down; I don't carry a gun... I drive.” Io guido. Può cadere il mondo, piombare un meteorite ma il suo lavoro è solo guidare. Il mondo circostante è solo un paesaggio; come in un ritratto rinascimentale, in primo piano il committente e distante, in piccolo, uno sfondo di vita o d’ambientazione. Questo è il personaggio di Drive, un pilota. Ma non un pilota di Formula uno; lui è un genio, un artista, un Leonardo della guida. La sua guida non è solo potenza ma è astuzia, studio, conoscenza, psicologia, fantasia: arte pura. Di fronte ad un volante è un re. E quando esce dall’auto? In questo caso iniziano i problemi. Drive è un film circolare. La fine potrebbe essere l’inizio e viceversa. L’uomo Drive di giorno è un abile meccanico, un coraggioso stuntman. Al raggiungimento delle tenebre le luci della città si accendono, le sirene diventano acute squarciando il silenzio notturno. In quest’ambientazione della Los Angeles notturna, Drive appare all’improvviso, senza un passato a noi conosciuto, senza una famiglia. Dentro di lui si intravedono degli squarci di umanità e di psicologia complicata. Così come tortuosi sono le sue relazioni umane e sentimentali. Ha un amore platonico, nulla di carnale e materiale come se fuggisse da ogni contatto corporeo. Perciò si concentra sull’aspetto interiore, preferisce rimanere di guardia all’esterno anziché tentare una compenetrazione fisica. È così puro e semplice da rinunciare alla persona amata per la sua felicità, disposto perfino ad aiutare il suo concorrente sentimentale. Per il suo incondizionato amore, la sua vita esteriore, sarà distrutta. Ma è meglio così, può riprendere la sua macchina e trasferirsi in un altro luogo, apparendo inaspettato senza nome e passato. Il finale si trasforma nell’inizio. Un film intenso, penetrante, fagocitante, dove la città oscura e la sua vita marginale ci attecchisce all’interno. Drive è inoltre un personaggio disincantato sentimentalmente e psicologicamente, e nello stesso tempo freddo, dinamico e spietato nel suo lavoro. La camera è dentro la macchina, lo osserva da vicino, registra la compenetrazione, la fusione fra l’uomo e l’autovettura. Il suo viso è immobile, i suoi sono movimenti indefiniti, minimi, essenziali. La sua calma è totale distacco. Non indifferenza, ma visione disillusa del mondo. Le sue scarse parole sono il riflesso della sua anima. Non parla, non risponde. Dentro di lui c’è una inquietudine; non possiamo registrarla, non dobbiamo farlo, non ci interessa indovinarla. Il nostro scopo è rimanere fermi, salire in macchina, accendere il motore e scappare a folle velocità. Drive è l’adrenalinica scena iniziale, dove un inseguimento diventa creatività, stile. E’ tutto organizzato, ma dentro di noi siamo come i frastornati banditi seduti sul sedile posteriore: annichiliti, senza fiato e parole. Sono cinque minuti passati in apnea, dove il respiro è solo sopravivenza mentre il cuore pulsa velocemente dentro una macchina rincorsa dalla polizia. Con una luce penetrante nell’oscurità il regista ha descritto un segreto: il segreto di Drive. Un film molto bello, vivo, umano, grazie anche alle capacità di Ryan Gosling, un autista indefesso e indulgente.