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Il Grinta - True Grit
Anno: 2010
Regista: Ethan Coen; Joel Coen;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 22-04-2011


“Niente è gratuito in questo mondo tranne la grazia di Dio.” I fratelli Coen riportano la grande epopea del west sugli schermi con una entusiasmante pellicola. Il film è ricco di spunti, personaggi e caratteri; tutti accentuati per l’atmosfera calda ed avventurosa dell’epoca pionieristica. Si riprendere la omonima pellicola del 1969 interpretata da John Wayne, si rileggono i personaggi con l’ironia e sarcasmo dei fratelli Coen e siamo dopo quarantatré anni di nuovo spediti verso l’infinito delle praterie. Il filo conduttore è la vendetta. Un bandito ha ucciso il padre di una ragazzina, e lei con determinazione vuole giustizia, di qualsiasi tipo. Troppo piccola per riuscirci da sola. Sa però essere furba ed intelligente perché sceglie la persona giusta, grazie alla sua dote di essere ascoltata e convincente. Inizia la caccia all’uomo, lungo sentieri sterili, inseguimenti e tante affascinanti sparatorie. Il Grinta è un personaggio cinico e stanco della vita. Sopravvive alla giornata e campa dando la caccia a ricercati. I suoi inseguimenti finiscono immancabilmente con l’uccisione del malcapitato, quasi a sfogare in questo suo divertimento macabro le sue umane difficoltà di vivere. E’ un giustiziere esagerato e smodato; è disinteressato alla giustizia e alla verità nelle loro accezioni più nobili, ama se stesso e la voglia di sopravvivere. Tutto sembra finto nel film. Ad una passione equilibrata del classico Il Grinta di John Wayne, si passa ad una innaturale ironia, come l’applauso dei tanti spettatori di una impiccagione. Da questo inizio comprendiamo la morale: non prendersi troppo sul serio. I Coen dirigono il film come quadri rinascimentali. Scene molto scure, dark; dove appaiono inaspettate delle luce gialle, fioche ma ben visibili nel nero dello sfondo: ricordano Nel ragazzo che soffia sul tizzone di El Greco o un quadro di Georges de La Tour, dove la luce di una candela squarcia l’oscurità dei colori. A volte queste luci artificiali arrivano improvvise e sono così intense da stabilire una congiunzione con il villaggio finto e le sue praterie ambigue. Nella scena del processo, Il Grinta è accusato di eccesso di violenza contro i suoi ricercati. La sua indifferenza ed insofferenza unita alla freddezza del cacciatore di taglie si uniscono alla forte ed accecante luce proveniente dalla finestra. L’ambiente del tribunale diviene in questo modo una totale finzione. Una ricchezza della pellicola è data dal linguaggio veloce e brillante. Una ragazzina sagace e spietata nei giudizi, un cacciatore finto e stanco. E’ consapevole del suo essere: chiacchierone instancabile, si disinteressa di essere ascoltato. La sua logorrea è uno sfogo di una vita non realizzata. Trova riparo rimanendo in uno stato di costante sbronza e si realizza soltanto sparando ed uccidendo. Potrebbe sembrare finito ed inutile, in realtà è goffo, ma veloce e spietato oltre ad essere un valente poliziotto. Sono personaggi esagerati, ma unici. Non potrebbero esistere nel mondo di oggi. Oggi dovrebbero essere politicamente corretti, conformisti, banali, e mai se stessi. Nel nuovo mondo delle praterie sono a loro agio. Nuove terre sono conquistare, la strisciante anarchia dei pionieri non è ancora prigioniera di regole nefaste. Ci vuole del tempo per l’uccisione di ogni vitalità liberale; l’arrivo del presidente Obama è ancora lontano. Questo è il grande west di cui si sente la mancanza. Le praterie sono estese e le distanze lunghissime. Le terre sono disabitate, gli incontri sono casuali e sempre con bizzarri personaggi. Il vuoto dell’ambiente è invece traboccante di luce o di oscure tenebre. Un maestoso cielo stellato e spazi infiniti sono visibili con un semplice movimento dello sguardo. La volontà di essere un popolo, anche con tanti errori e difetti, ma con un forte desiderio di libertà e di una giusta affermazione del bene. Il finale deve essere un classico. Il mitico ed inesauribile scontro fra bene e male: il duello. In breve tempo tutto deve essere deciso, un solo vincitore; non c’è tempo per compromessi, politiche, menzogne. Il trionfatore potrebbe essere pure il male, il cattivo; ma non nel west, qui il bene è obbligato a vincere. L’amore – in questo caso filiale per una ragazzina caparbia e testarda – avrà la meglio. Salvandola rischiando la sua vita, Il Grinta, vuole celebrare la vittoria della giustizia in cui la ragazza crede fermamente. Abbandonerà il cinismo ed il suo pessimismo di uomo sconfitto dalla vita, in cui a smesso di credere da tempo. Oltre l’amore, ritroviamo un altro topos del western: l’amicizia virile e potente. Il west è un ambiente per uomini, le donne sono importantissime ma poche. Sono solo gli uomini ad affrontarsi in conflitti brutali, perciò gli uomini devono legarsi fra loro: la violenza è questione loro. Per sopravvivere a tanta crudeltà devono per forza stringersi uno con l’altro, avere un unico senso di appartenenza. Devono essere capaci di sacrificarsi, non per l’amico, ma per quel desiderio di vita in comune. Tanti particolari crudi e violenti; come serpenti velenosi sono utilizzati dai Coen. I loro personaggi sono esagerati, come l’ambiente di un mondo ancora da colonizzare. A differenza dei personaggi iperbolici e sconfitti di Burn After Reading e A Serious Man, Il Grinta nella sua umanità disastrata rappresenta una eccezione vincente. Accetta il suo destino senza speranze, un unico gesto di amorevole gentilezza lo eleverà per tutta la sua esistenza. E così la vendetta, da crudele e spietata esecuzione di una giustizia privata, diventa una giustizia pubblica e morale. Tutto è fasullo. La scena più contraffatta è la lunga corsa, prima a cavallo e poi a piedi del Grinta con la ragazzina sulle braccia. E’ finta e falsa come la storia del west. Però come dicono i fratelli Coen è bello crederci. Jeff Bridge è più umano del maschile e perentorio John Wayne. Recita con disinvoltura con una benda invisibile.