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C'è chi dice no
Anno: 2011
Regista: Giambattista Avellino;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 22-04-2011


“Fuori c’è il nulla. No fuori c’è la fila.” Giambattista Avellino dopo averci raccontato le avventure di Ficarra e Picone in La matassa e il 7 e l’8 vuole ironizzare su un vezzo planetario: la raccomandazione. Due ragazzi ed una ragazza hanno frequentato il liceo insieme. Anni dopo si ritrovano con delle carriere mozzate perché all’ultimo momento arriva sempre il figlio di papà a rubargli il posto. Il film è specializzato nella raccomandazione generazionale. Non tratta della raccomandazione politica, ben più dannosa. L’infausto voto di scambio, perpetrato in tutti i livelli, è causa di una corruzione mai scoperta. Aver dimenticato questo elemento permette al film di essere meno polemico e più banale. Gli ambienti presi in considerazione si distinguono, da sempre, per un nepotismo sovrabbondante: un giornale, l’università e l’ospedale. L’università è regno di scandali vergognosi, il cui silenzio e la cui accettazione passiva ha avuto come conseguenza una depauperazione ignobile del livello culturale. I giornali sono pieni di firme “casualmente” omonime di altri giornalisti di età maggiore. Negli ospedali la nomenclatura dei primari spadroneggia in scelte pericolose e di dubbia opportunità. Sono tre esempi; nulla cambia in tanti altri settori: anche i poliziotti si lamenteranno delle raccomandazioni necessarie per progredire nella carriera in polizia, solidarizzando interiormente con i ribelli. Un film ironico, moderato, ma pungente come una zanzara morta. Si parte dal solito carosello: la APT coinvolta è quella di Firenze. Stupende cartoline della città ci riportano la voglia di passarci un weekend, forse poco efficaci per la trama, ma certo utili al turismo della città di Matteo Renzi. Le immagini si riempiono di luce accecante fino a stordirci. Nonostante l’abbaglio è impossibile non notare la pubblicità ‘’sublimale’’ di cui il film è saturo. L’idea del film è originale come una borsa Louis Vuitton comperata sulla spiaggia. Come in Delitto per delitto di Alfred Hitchcock, per eliminare eventuali sospetti i ragazzi si scambiano le vittime. Al posto dell’omicidio qui subentra il reato più fashion del momento: lo stalking. Con abili ed ironici trucchi i tre aspiranti al posto fisso riusciranno temporaneamente ad avere la meglio, ma la sconfitta finale è inevitabile. I loro gesti saranno la base per una scuola di lotta e si costituirà un movimento di protesta contro i raccomandati. Fra frizzi e lazzi il film scorre diretto verso la fine. I personaggi sono brillanti fra loro, meno credibili nelle loro avventure para goliardiche. Il motivo è l’improvviso arrivo sulla scena di passaggi intangibili, dalle molte interruzioni. Un bacio strappato sullo sfondo del Ponte Vecchio è ironico come un discorso della regina Elisabetta. Il regista è incapace di creare un autentico conflitto generazionale, vera causa della raccomandazione padre e figlio. Nonostante tutto il film si segue in modo leggero e chiaro, anche grazie alla presenza dell’unico attendibile cattivo: il cinico ma intelligente il Barone De Rolandis, interpretato come un maestro da Giorgio Albertazzi.