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Qualunquemente
Anno: 2011
Regista: Giulio Manfredonia;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 27-01-2011


“Non è partito l’applauso.” Cetto La Qualunque si appella in questo modo quando racconta un aneddoto ai suoi fedeli e nessuno ride. E’ questa la caratteristica del film. Si ride, ma dietro comando. Antonio Albanese porta al cinema un personaggio già noto agli amanti della televisione. La sua fortuna è la contemporaneità con gli argomenti pubblici e politici del momento; dai tempi di Omero, sempre per il “pilu” ci si batte. Albanese ha un ritmo ed una comicità molto televisiva la quale non coincide con il passo da tenersi al cinema. Abbiamo quindi novantasei minuti stiracchiati ed allargati, con battute e frasi divertenti già tutte contenute nel trailer. Visto il trailer, visto il film. Altro non c’è, sebbene Albanese cerca sempre di far partire l’applauso. Lo schema del film è quello classico del momento. Si viaggia al sud, si prende una ambientazione bellissima e suggestiva, ricca di panorami e scenari. Si inventa un nome ad un paese e già mezzo film è pronto – e anche mezzo budget, grazie ai contributi e alla generosità delle regioni. Poi si aggiungono le battute di Cetto La Qualunque e la musica della Banda Osiris e si ottiene il prodotto finito. Bisogna riconoscere il merito ad Albanese di aver tenuto la barra ‘’politica’’ della pellicola. Non ci sono sconti a nessuno; l’unica bandiera politica innalzata è quella della “lega”. Si diverte Albanese ad affondare la parola e la mimica sui luoghi comuni dell’uomo e della donna meridionale. Una delle sue battute più efficaci è sicuramente quando si rivolge al figlio deluso per averlo visto con il casco: “si comincia a dare una precedenza e si finisce ricchione”. Le credenze del nordista Albanese sul sud sono tutte rinchiuse in questa ironia: per lui è ovvio nessuno sotto Napoli può indossare il casco. Egli cerca il ludibrio di un mondo particolare e della sua diversità. Siamo così arrivati alla fine, anche grazie all’arrivo di Sergio Rubini: un finto settentrionale, il quale diverte massacrando e scimmiottando L’arte della guerra al solo scopo di creare consenso intorno Cetto La Qualunque. Il film ha tutto sommato un lieto fine. Nonostante i favori, le falsità, tutti gli squallidi tentativi per essere credibile Cetto La Qualunque. esce sconfitto dalle elezioni. La gente non si è fidata e per vincere Cetto dovrà abbandonare i consigli del consulente Rubini ed ascoltare se stesso. Se ci fosse stata una sceneggiatura più profonda si sarebbe potuto costruire qualcosa in più, proprio sulla relazione fra i due personaggi, una specie di Toto e Peppino, invece alla fine ci si è accontentato di seguire la corrente. E tutto sommato va bene così.