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Classified X
Anno: 1998
Regista: Mark Daniels;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Francia; USA;
Data inserimento nel database: 31-03-2000


Classified X

Classified X

di Mark Daniels, Francia USA, 1998, 52´

10° Festival Cinema Africano

Milano 24/30 marzo 2000
regia di .......................... Mark Daniels
soggetto di  ...................... Melvin Van Peebles
fotografia di  .................... Mark Daniels
montaggio di  ..................... Catherine Mabilat
suono di  ......................... Olivier Schwob
prodotto da ....................... Les Film d'ici, La Spet Arte, Yeah Inc., Ecoutez Voir
distribuito da .................... Les Films d'ici 12, rue Clavel, 70519 Paris,
................................... tel.: 331-44 52 23 23, fax: 331-44 522324


Sornione e amarissimo, Melvin Van Peebles, irriducibile Black Panther, si presenta in una cornice epica: l'icona classica di Chicago, la strada che scorre sotto la monorotaia. E ci invita a indossare gli stivali dell'afro-americano, aiutati dalla serie di spezzoni cinematografici che la sua memoria ferita dalla arroganza razzista bianca ha raccolto classificando i prodotti hollywoodiani come un entomologo, esattamente come l'industria aveva classificato con una X il suo primo film, cercando in questo modo di condannarlo all'oblio, senza riuscirvi, anzi ... E quando appare nella sala del Cinema De Amicis la sua curiosa figura sembra un cartone animato uscito dallo schermo in quel momento per proporci una nuova escursione nei panni degli afro-americani.

Il primo periodo "old negro", in cui ai neri si affidavano soltanto ruoli di contorno, monosillabici nell'acquiescenza verso il padrone, impediti persino nei movimenti, perché il bianco doveva spiccare sempre, anche nel ballo: addirittura nelle sue peculiarità più classiche il nero doveva inchinarsi alla "bravura" del bianco (magari impiegato ad inebriarsi per i passi di danza penosi) e astenersi dall'entrare in competizione (tutti in estatica contemplazione, fermi, immobili a fare da corona all’esibizione della donna bianca). A quel primo falso step di rappresentazione dell'universo nero fa seguito un momento in cui il nazismo sconfitto aveva reso scorretto l'apartheid e quindi agli afroamericani era consentito recitare in parti con maggior spessore, sempre comunque non protagonisti: militari di eroici drappelli, il mitico Sam di Casablanca, che nel ghetto di Chicago veniva più volte riproposto tra gli applausi. Era il periodo del "new negro", che si concluse con Indovina chi viene a cena, dove tutti consideravano ben assortita la coppia, che vedeva un nero geniale, intelligentissimo con una sciacquetta insignificante, ma bianca. Dopo cominciarono le proteste e quindi si passò dalla fase "new negro here" a quella del "no negro here". E qui si inserisce il film del '71 di Melvin ("Decisi di svegliare Hollywood con un calcio nel culo"): Sweet Sweetback's Baadasssss Song, che in questa splendida lezione di cinema serve da pretesto: la tesi da dimostrare è infatti che quel suo lavoro non usciva dal nulla, ma era frutto dell'evoluzione nel trattamento dei neri e della loro coscienza, a cominciare dal fatto che lui bambino non riconosceva in quelle figure di leccaculo sullo schermo i fieri lavoratori neri che vedeva ogni giorno nel ghetto di Chicago, era uno specchio socio-culturale; l’unica novità era linguistica, ma questo egli lo attribuisce al fatto che era rimasto impermeabile ai modi di espressione dei bianchi ("Ero scampato alla colonizzazione del gusto bianco") e non aveva mai realizzato un film, dunque si trattava di un linguaggio personalissimo, cosa che pochissimi (Med Hondo, Cissé, Mambety e pochi altri) sono riusciti a fare, pur essendo un elemento essenziale della nascita di un cinema africano indipendente, materia dei molti metalinguaggi prodotti dai registi africani.

Classified X è uno splendido esempio di controinformazione, pari ai suoi film della blaxploitation, solo che in questo caso ha il tono didattico dell'analisi fondata sulla proposta di materiali significativi di per se stessi, come un proclama di Huey Newton o un discorso appassionato di Bobby Seale. In più si aggiungono le smorfie sarcastiche di Melvin e la sua acutezza nel dirimere i vari periodi e i differenti "santuari della dignità" che costellano l’immagine che il cinema diede dei neri negli Anni 50: la musica, la religione battista. Dal pulpito e nelle chiese erano luoghi dove i neri potevano esprimere un’identità come per tradizione avveniva nel mondo opposto dello spettacolo e dei bordelli. In realtà Melvin sposta la nostra attenzione verso dettagli che evidenziano come l’atteggiamento paternalista non era mutato rispetto all’anteguerra o agli sgangherati film di Shirley Temple: l’unica novità era la sostituzione della querula bambina con attori che assumevano atteggiamenti illuminati, edificanti al punto che anziché riportare la realtà, camuffavano in brave persone, solo animati da desiderio di giustizia ed incorsi in equivoci, personaggi che stavano partecipando ad un linciaggio. "Gli insulti ai neri erano così più sottili. Come poteva Hollywood agire con tale impunità?". Un grido di dolore che echeggia da Sidney Poitier a Denzel Washington, privato dell’Oscar per Hurricane da una campagna selvaggia di discriminazione nella promozione del film, proprio come avvenne trentasette anni fa per Poitier, confermando la sintesi di Van Peebles: "Griffith con Born of a Nation non ha inventato il razzismo di Hollywood. L’industria cinematografica americana era razzista già prima"...e dopo, come dimostra la scandalosa distribuzione di un film come Beloved che si avvale della regia di Demme e dell'interpretazione di Thandie Newton, Oprah Winfrey e Dany Glover, eppure ignorato a causa del piglio con cui tratta la cattiva coscienza discriminatoria degli USA.

Melvin a questo punto in uno dei suoi siparietti, riprendendo il suo ruolo di guida virgiliana nell’inferno di un secolo di apartheid cinematografico, rivela l’esistenza di un cinema indipendente fatto da neri per il circuito di cinema del ghetto, frequentati solo da afroamericani: ma confessa anche di averli conosciuti soltanto cominciando a interessarsi di cinema. In essi la comunità nera si riconosceva, ma sparirono con le leggi antisegregazioniste perché finendo il regime di divisione, le sale adibite all’accoglienza dei soli neri non riuscirono a reggere la concorrenza e chiusero. E con esse i film prodotti per i neri e già malamente distribuiti in precedenza. Le informazioni sui misfatti della industria cinematografica si susseguono ad un ritmo incalzante quanto il montaggio di immagini vergognose e conosciutissime, persino di film anarcoidi amatissimi (come Harpo Marx che insegna il blues a suonatori afroamericani) che assumono toni oscuri in questa rassegna, estrapolati dal loro contesto risultano insopportabili per la loro distratta manipolazione dei cliché applicati alle persone di colore: uno specchio non di un’epoca, ma della mistificante rappresentazione del mondo da parte di Hollywood, che riproduceva all'infinito sempre gli stessi stereotipi privi di fondamento, creando i presupposti per la rivolta di coloro che sempre meno si riconoscevano nei ruoli assegnati, ma si scontravano con quella disinformazione, resa vera dallo schermo. Il cinema è più forte della realtà, dice Haroun.

Alla fine di tutte le visioni (ottime) africane ci piace pensare che nel cielo plumbeo di Milano, solcato da ignobili disegni di legge vergati da emuli dei nazisti dell'Illinois di belushiana memoria, compaia l'estremo urlo che promana sul fermo di fotogramma del finale nel vecchio film di Van Peebles: "Dedicated to all the Brothers and Sisters who have had enough of the Man", dove l'uomo in questione è quello per eccellenza, il bianco di razza caucasica.