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Il gusto del sakè-Sanma no aji
Anno: 1962
Regista: Yasujirô Ozu;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 15-10-2010


Nel Giappone il pensiero confuciano ha creato una famiglia forte, con dei legami profondi e puri. La pietà filiale obbliga i figli a prendersi cura dei genitori fino alla loro morte. Devono ripagare il debito nei loro confronti. Shuhei Hirayama è vedovo. Ha due figli. Michiko, la maggiore, di venti quattro anni ed un figlio più giovane. La figlia ha superato l’età da matrimonio, ma non mostra interesse nello sposarsi in quanto il suo dovere è stare con il padre. Le riprese sono tutte a livello del pavimento, deliziose. Camera ferma. Le persone passano davanti in base al loro compito. I personaggi principali invece si siedono di fronte. Il film ha una tecnica molto bella. In un mondo di immagini agitate ma anche irregolari, in Ozu c’è una grande pulizia, di grande candore. Tutto è già deciso per linee geometriche, disegnate Questo linguaggio è la forza di un pensiero ordinato: quello del padre e della figlia. E’ un film di grande emotività, umano. Il padre si convincerà di dare sua figlia in moglie, a malincuore. Accondiscende perché quello è il suo dovere. La figlia accetterà: quello è il suo dovere. Sapere del futuro marito è insignificante. Ozu non lo mostra neppure. E neppure ci interessa. Siamo affascinato dall’amore filiale e dal dovere. Commovente è la scena finale. La figlia si è sposata ed è via di casa. Il padre torna dalla cerimonia. E’ felice e triste. Si sente solo. A casa c’è solo il figlio. Saranno le sue parole a riportare il giusto ordine delle cose: “Sarò io a prepararti la colazione domani.” Il figlio conosce i suoi obblighi e per la prima volta si pone al servizio del padre.