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A single man
Anno: 2009
Regista: Tom Ford;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 11-02-2010


“Nel passato c’è il mio futuro.” Nel 1962 la crisi dei missili di Cuba sconvolge gli Stati Uniti. La paura della bomba atomica si diffonde, è il momento del boom dei rifugi atomici. A Los Angeles in un quartiere elegante e raffinato i rumors della guerra giungono solo per via dei notiziari della radio. George è un benestante professore di un college. Sta vivendo un momento drammatico per via di un lutto improvviso. Non riesce a farsene una ragione, una vita tranquilla e serena se ne è andata in modo fulmineo. E’ un’elaborazione impossibile, perché non rientra nei suoi schemi, nel suo modo di vivere meticoloso e preciso. Non ha nessuna speranza e non ha più voglia di vivere. Lentamente però si rende conto che la vita ha degli aspetti che repentinamente possono sorgere e lo portano nuovamente a cambiare idea. Sarà un dolcissimo ragazzo, suo studente, con occhi azzurri, che lo stregherà e gli darà una nuova visione della vita. Tom Ford entra nel cinema con un soggetto sicuramente a sua misura. La storia è di quelle riflessive e meditative, con tensioni decadenti. Costruisce il film fondendo scene attuali e flash back senza mai interrompere la storia in modo brusco. Alcuni flash back sono attualizzati. Si parte da un momento attuale, un momento che George sta vivendo che si unisce in un tutt’uno con il passato. I temi sono la morte, la paura, l’amore. L’omosessualità è un aspetto secondario. Non è vissuto con peccato ma con accettazione di quello che uno è. Potrebbe essere la storia di chiunque ami. L’amore è vita, senza di essa sembra che ci sia solo morte. Non possiamo rinunciarci senza annientarci, senza avere più speranza. E’ il combustibile della vita, della passione e della gioia. Non esiste un’età. C’è un confronto fra giovinezza e vecchiaia, ma è un confronto alla pari. La giovinezza ha dalla sua la bellezza, la voglia di vivere e di imparare. La vecchiaia ha il fascino e l’esperienza che tenta di divulgare. George è nevrotico, impasticcato, manicale e compulsivo nel suo mettere in ordine, nel suo cassetto esageratamente composto, nella metodica organizzazione del suo tentativo di suicidio. Diventa comica nella sua goffa dinamica. Non c’è metodo c’è solo una morbosità sempre più crescente che ha livello psicologico nasce dall’anello di matrimonio della madre che decide di portare come unione con il suo passato. Il passato si intreccia con il presente. Il passato ritorna. Sembra che ci sia una unica dimensione temporanea, un unico spazio luogo tempo in cui la vita di George si svolge. E’ una dimenzione onirica, un sogno. Tante immagini ferme, con colori che cambiano tonalità repentinamente, con l’ansia dell’annegamento, della morte, della paura, del dolore, con colori, come l’uomore, che repentinamente da opachi diventano accesi. Particolari che si slanciano verso l’alto per mostrare una estensione unica. Come tutte le opere prime ma soprattutto in questa di Tom Ford c’è molta autoreferenzialità. Non lesina di riempire la scena ma non lesina anche vuoti intorno ai soggetti. Una scenografia ricca rende a volte il tutto volutamente esagerato. Colin Firth è un bravissimo George. Recita con passione tutti i nevrotici piccoli e grandi gesti del Professore. Lo rende unico ed intorno a lui crea il vuoto. Trascina con l’eroica recitazione tutti quelli che gli stanno intorno.