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L'uomo che verrà
Anno: 2009
Regista: Giorgio Diritti;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 01-02-2010


“La guerra la vince chi rimane vivo.” Giorgio Diritti e la strage di Marzabotto. Nel settembre del 1944 i nazisti del comandare Reder compirono una delle più sanguinose stragi uccidendo oltre 1800 persone. Il cinema ci fa ritornare indietro con la mente e con lo sguardo di Martina, una ragazzina sordomuta per uno choc avuto da piccola, riviviamo con passione e rabbia l’eccidio. Non siamo noi ad andare per i campi è la piccola Martina che senza avere neppure la possibilità di urlare come gli altri ci racconta con i suoi pensieri. Non è una ragazzina ingenua anzi è molto intelligente, infatti, ciò che vede èletto in modo diverso rispetto agli altri bambini, proprio per il suo disagio fisico. Il crescendo filmico avviene anche con il punto di vista della sua famiglia, la dolcissima madre, la sorella indipendente che viveva in città e la nonna, vera matriarca della famiglia. Abbiamo anche lo sguardo dei soldati tedeschi, tutti giovanissimi, alcuni impauriti, altri violenti e crudeli. Ci sono poi gli occhi che osservano da lontano: quello dei partigiani che fissano la strage ma non intervengono. Un certo malessere storico per il film nasce proprio da quei partigiani che scrutano il massacro dall’alto della montagna senza fare nulla. Non è però un revisinismo del mito della resistenza, che in alcuni casi è sicuramente necessario, è invece uno sguardo umano, triste, disperato, affranto e senza via di uscita. Lo stesso che ha il contadino che osserva nascosto su un albero. Il tono cupo del film è vissuto solo internamente. I colori della campagna sia sotto la neve che quelli sotto il sole sono vivi, brillanti, accesi come la vita della famiglia di Martina. Il tono eroico non può esistere perché gli “eroi”, i partigiani, sono sulla collina che osservano Le vittime non hanno nulla di eroico, sono donne, bambini, vecchi e paurosi. Il film di Diritti è bello, ma a volte troppo tecnico, troppo scupoloso nei particolari da rendere alcune scene esagerate. Sinceramente di un ulteriore film sulla resistenza non ne sentivo proprio la necessità, nonostante quel volere aggiungere il dubbio sul comportamente dei ribelli, dei partigiani. Il coraggio manca hai registi italiani, non sanno confrontarsi con una realtà, un’attualità e quindi trovano storie solo dal passato. Qui si sentono sicuri, riescono a fare anche belle cose, sanno che sono protetti da storie che hanno avuto il battesimo del tempo e hanno l’accettazione della totalità.