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Terra madre
Anno: 2009
Regista: Ermanno Olmi;
Autore Recensione: Antonio Dabraio
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 02-02-2010


Il cibo è necessariamente presente nella vita di tutti i giorni, senza cibo non si vive. Da elemento essenziale per il sostentamento del proprio corpo, gli uomini hanno reso il cibo un elemento centrale di socialità. Così il pasto è l’occasione di incontro della famiglia, ma anche il mezzo per offrire ospitalità o celebrare un qualsiasi evento. È con l’invito a cena, con l’offerta di una torta o un pranzo al ristorante che si suggellano le amicizie e si esprimono i sentimenti; così come il mancare ad un invito, ad un pasto in comune può divenire il rifiuto di un’amicizia. Alla sua proprietà naturale di apportatore di calorie, e quindi fonte di vita per i nostri corpi, il cibo diventa fonte di vita per le nostre anime. Questo nutrimento, che riguarda quindi tutto l’uomo nella sua composizione, non inizia dal momento che il cibo entra nella nostra bocca ma molto prima. La composizione di ogni piatto presuppone le aspettative e la personalità di colui che li prepara; di conseguenza la storia di ogni cibo preparato che arriva nel nostro piatto ha una lunga storia che coinvolge le nostre madri, nonne, chef e popoli interi. “Noi siamo quello che mangiamo...” annuncia Vandana Shiva che appare in una delle scene del film Terra madre. Un cibo preparato, che non contiene solo calorie, ma anche la storia di un popolo, nutre le nostre anime con la nostra stessa storia. Terra madre però non si ferma a questo, dice molto di più e lo dice senza parole e con tantissime immagini. Terra madre non è né un film su un’apocalisse architettata da annunciatori di sventura, né un documentario sulle condizioni del nostro pianeta. È un film che ci vuole presentare una situazione per smuovere le coscienze, lo fa partendo dalla realtà globale che ha prodotto il nostro sistema capitalistico. Nei paesi tecnologicamente progrediti, ogni occidentale ha a disposizione intere scorte di cibo che non sarebbe capace di consumare neanche a volerlo. Nonostante tutto il cibo che entra nella sua bocca, dopo aver percorso diverse volte il giro del mondo, non ha una storia e viene consumato in tutta fretta, molte volte in piedi e da soli (l’estraneo, che attaccato al nostro gomito mangia allo stesso bancone, non si deve tenere in conto). Quindi l’occidentale è nutrito solo nel suo corpo, con un sovradosaggio di calorie, mentre la sua anima è costretta a morire di fame. Nei paesi in via di sviluppo non si può neanche parlare di scorte, perché ogni uomo combatte quotidianamente per poter introdurre un minimo di calorie che gli consentano di arrivare al giorno dopo. Non gli rimane che pregare il Padre suo che è nei cieli affinché gli dia il suo pane quotidiano. Ma pensare che l’anima si possa nutrire, indipendentemente dal corpo cui appartiene, è solo illusione. Terra madre non si chiede come questa disparità sia potuta avvenire, conosce già la risposta e ha le idee chiare sul progetto da portare avanti: piantare un seme nel terreno delle nostre anime prima che muoiano del tutto. Per questo il film parla insistentemente di nostra madre, perché ha a cuore la salvezza dei suoi figli. Affinché questa salvezza possa essere attuabile, è necessario che tutti, ognuno di noi, figli della Terra, incominciassimo a coltivare quel seme piantato dentro di noi. Quindi, il problema della nostra ricerca interiore, del buon rapporto con noi stessi, passa dal buon rapporto con mondo circostante: in altre parole dall’ecologia. “Siamo quello che mangiamo...” vuol dire anche chiedersi da dove viene ciò che mettiamo in bocca. “Siamo quello che mangiamo...” vuol dire chiedersi a cosa ci serve il cibo che mettiamo dentro, quanto bene vogliamo al nostro corpo. Quel corpo che è l’unico mezzo per dare la possibilità al nostro amino di esprimere sé stesso.