NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Inland Empire
Anno: 2007
Regista: David Lynch;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 11-02-2007


Vito e gli altri - Recensione - NearDark - Critica e recensioni

Domani. Questa è la parola centrale del film di Lynch... tutto si incentra sul preconizzato, che si sviluppa lì sotto gli occhi del presente, per poi confondersi di nuovo, ma non in senso temporale, bensì spaziale: cioè Lynch privilegia la proliferazione di storie negli spazi di un teatro di posa, dove si svolge praticamente questa follia schizofrenica che moltiplica i personaggi (Laura Dern forse copre 4 o 5 personaggi, ho perso il conto, i singoli plot non sono del tutto completati e non importa nemmeno che lo siano). Quelle storie consentono di riprendere i personaggi attraverso l'unità del carattere interpretato dal singolo per sviluppare in modo sempre diverso uno stesso canovaccio in luoghi differenti; poco importa se siano collocati in una Polonia grigia e stereotipata degli anni Quaranta, da dove si immagina esca la componente orrifica, piuttosto che negli anni Cinquanta americani, o nella Hollywood senza tempo dei riferimenti cinematografici... il remake del remake di un originale inesistente..

 

  Quello che gli interessa è probabilmente il gusto di mettere in scena annullando completamente la trama, visto che c'è un presupposto comune, che trae spunto da un canovaccio sviluppato in un flusso unico ponendo in comunicazione i differenti dipanarsi di quella trama attraverso passaggi teatrali; nel senso che usa quinte, ma anche lo spazio di una sit-com di coniglioni umanoidi con ovvie risate incorporate (ovvio e banale come sempre al servizio dello straniamento lynchiano), ma pure uno schermo televisivo per arrivare alla fine a confondere le due protagoniste in un bacio che le rende una sola (l'unitarietà finale ironicamente ripescata e pronta a farsi nuovamente duplicare fin dai titoli di coda deriverebbe dalle lacrime, dalla partecipazione al pathos di una appassionata spettatrice televisiva: tutti i personaggi coinvolti coprono l'intero sistema cinematografico: anche gli spettatori e i loro stereotipi) dopo averle sdoppiate tutt'e due in infiniti plot collocati in set avulsi l'uno dall'altro - ma che almeno due volte registrano la compresenza di due Laura Dern diverse per collocazione ideale spazio-temporale e che si ritrova a doversi sottrarre alla vista dell'altra Laura Dern per impedire la follia di incontrare se stessi (era già un problema di Back to the future)... Anche qui come in The Prestige c'è la duplicazione del personaggio, ma il processo è opposto: il personaggio si duplica perché trasportato in un'altra dimensione (esplicito l'intento anche in uno dei tanti interruttori verbali che devono orientare pure lo spettatore più sprovveduto a seguire il flusso creativo: "Scopa come se ti trasportasse in un'altra dimensione", per Lynch è davvero un orgasmo visivo compreso nella "casa-teatro" che contiene tutti i "luoghi") dove è un altro pur mantenendo caratteristiche proprie in quanto si mette addosso la situazione in cui viene catapultato come se fosse un vestito.

 

  Letto così sembra imperdibile, in realtà a posteriori non è un capolavoro come pretende Ghezzi: una volta capito il meccanismo e il fatto che in ognuna di quelle scatole, camere, contenitori teatrali si intende sviluppare tutti i possibili sviluppi diversi che uno spettatore si può attendere a partire da una situazione annunciata con gli epiloghi più disparati e gli scambi di destini (in uno muore un tipaz, in un altro tocca a un altro; in uno il marito minaccia l'altro attore del colossal affinché non si permetta di toccare la moglie, in uno li guata sotto il piumone mentre una traccia di plot parallelo affiora alla memoria della fedifraga - che non è tale nella trama parallela -, in un altro parte con un circo...; in uno si scatena un musical di puttane, che fanno prendere coscienza a Laura Dern di essere parte della loro comunità e che è destino che le liberi da uno squallido personaggio polacco (qui la lingua demenziale del nano diventa il polacco) degno di Twin Peaks... una volta capito tutto ciò - e i segnali sono sparpagliati a piene mani lungo i 163 minuti di luci soffuse e sussurri, primissimi piani e slavature, balli scatenati e autocoscienza al femminile - si constata che non si è scostato dalle intuizioni già presenti in Lost Highway la prima volta e soprattutto dal capolavoro Mullholland Drive... nulla di nuovo, ma costruito con maestria; un eccesso di presenza della cooproduttrice Dern, ma funzionale alla possibilità di comprendere il giochino; una lunghezza spropositata, ma se doveva coprire tutte le possibilità di sviluppo narrativo (senza mai concluderne realmente se non tre: la morte dell'una, quella dell'altra e quella dell'inquietante presenza) senza dimenticare di recuperare tutti gli indizi sparpagliati ("47", "le 9 e 45", "dopo mezzanotte"...), si può dire che ce la siamo ancora cavata con poco, poteva andarci peggio.

 

Si può vedere se non ci si aspetta il capolavoro, si è predisposti a seguirlo senza attendersi altro che un flusso frammentato da completare, ma senza neppure doversi sforzare troppo, visto che raccoglie l'immaginario medio dello spettatore medio. Lynch poteva osare di più, a tratti scivola nella soluzione banale per avvicinarsi maggiormente al grado minimo della narrazione, sorprende soltanto alcune volte, quando infila inopinatamente (e forse ammodernando Brecht) le canzoni delle puttane... ma forse il suo intento era proprio quello di mettere in scena la prevedibilità.