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Il vento che accarezza l'erba
Anno: 2006
Regista: Ken Loach;
Autore Recensione: Francesco Puma
Provenienza: Gran Bretagna;
Data inserimento nel database: 25-03-2007


IL VENTO CHE ACCAREZZA L'ERBA (The Wind that Shakes the Barley)

2h 05'
Regia: Ken Loach

Tante possono essere le metafore scelte ad indicare, sul grande schermo, il conflitto tra fazioni opposti che si affrontano all'interno dello stesso territorio per far prevalere questa o quella religione e in nome di un principio d'indipendenza: quella sportiva è stata scelta da Ken Loach per il suo recente Il vento che accarezza l'erba
, meritata Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes, film teso ed ispirato che conferma l'impegno del regista inglese votato a raccontare, in forma di minimalismo epico, la drammatica, recente (ma già dimenticata?) storia d'Irlanda.
Dunque, una partita di hockey giocata da irlandesi e interrotta dalla violenta irruzione in campo dei famigerati Black & Tans, soldati inglesi foraggiati da Sua Maestà in memoria dell'epoca aspra dei baroni feudali. Loach ha ben chiaro chi siano, almeno all'inizio, gli oppressori. La sua storia è ambientata nel 1920, quattro anni dopo la proclamazione ufficiale della Repubblica Irlandese, e da due quando gli indipendentisti del Sinn Fein vinsero le elezioni e i deputati di Dublino proclamarono l'autonomia, formando l'anno successivo il governo con a capo De Valera. Ciò non contribuì a fermare gli oltranzisti: l'esercito dell'Ira, costituitosi nel 1918, impugnò i fucili per una guerriglia che non risparmiò i civili e che trasformò la contea di Cork nello scenario di un conflitto aspro e violento, sanguinosa pagina di Storia che fa ancora oggi discutere. Con implacabile lucidità da marxista illuminato, l'autore di Terra e libertà
(memorabile bassorilievo sulla guerra civile spagnola) torna, con un film che non vuole solamente spezzare lance ma che semmai ha l'intento di suscitare dibattiti e riflessioni, nei luoghi del suo precedente L'agenda nascosta, un pseudo - thriller con il quale aveva affrontato il drammatico problema delle responsabilità umane e politiche durante la guerra strisciante tra cattolici e protestanti nell'Irlanda martoriata.
In verità, il suo è lo sguardo del narratore partecipe e commosso di fronte al divenire della crudeltà e della disumanità di tutte le guerre, è l'ammonimento su come la ragione possa votarsi all'irrazionale impulso di una violenza cieca che non risparmia gli inermi e gli incolpevoli. L'odio non può che accecare, da una parte e dall'altra, irlandesi contro inglesi e viceversa, generando disperazione e orrore. L'ispirazione è venuta al regista da un poema ottocentesco di Robert Dwyer Joyce (che dà il titolo al film), The Wind that Shakes the Barley
ovvero Il vento che scuote l'orzo, ballata irlandese che si ascolta durante una veglia funebre, all'inizio del film, dove si nota l'antica compostezza di quelle donne contadine che, nella realtà, rimasero vittime della carestia durante le interminabili stagioni di sangue. Conosciamo così l'anziana Peggy (Mary O'Riordan), sua figlia Bernadette (Mary Murphy) e la nipote Sinead (Orla Fitzgerald), tutte e tre soggiogate dalle barbariche violenze dei militari inglesi, un orrore che irrompe nel quotidiano e al quale i militanti irlandesi non possono che assistere impotenti. Ma la vicenda principale è quella che ruota attorno ai personaggi di due fratelli, il combattente Teddy (Pàdraic Delaney) e Damien (Cillian Murphy), quest'ultimo capace di rinunciare all'idea dell'abbandono della propria terra, al fine d'intraprendere una carriera di medico, e di abbracciare la causa dell'indipendenza.
Quando un trattato, concordato tra le fazioni in guerra, divide l'Irlanda in ventisei contee (mentre altre sei rimangono sotto la giurisdizione di Londra), il movimento degli insorti si sgretola fino alla guerra civile e i due fratelli si trovano su opposti fronti: Teddy si schiera con l'esercito inglese e Damien persegue la propria utopia ribellista fino a rimanerne vittima. L'abilità di narratore di Loach, in questa epica ballata sui destini privati di una comunità invasa dall'urlo e dal furore di un conflitto senza confini, è supportata dall'accurata sceneggiatura firmata dall'inossidabile Paul Laverty, in grado di enucleare con forza, e attraverso brevi ed essenziali tratti, la psicologia di figure di contorno come quella di Steady Boy (Aidan O'Hare), combattivo reduce della Grande Guerra, o del bracciante Ned (Shane Nott), o come quella di Dan (Liam Cunningham), emblematica per riconoscere gli intrighi e le contraddizioni che legarono, all'epoca, politicanti repubblicani ed affaristi senza scrupoli. A conferire un tono crepuscolare, malinconico e tragico a tutta la vicenda contribuisce la contrastata, materica fotografia di Barry Ackroyd che inquadra i cupi bagliori dei mitologici paesaggi delle montagne irlandesi. Ed è per l'appunto con un urlo da antica tragedia, quello che testimonia il dolore di Sinead, la donna di Damien che ha appena appreso della fucilazione del suo uomo, che si chiude Il vento che accarezza l'erba
: è uno straziante, dissonante accordo che svela l'esistenza di ferite mai rimarginate in un terra, oggi pacificata, dove si sono consumate azioni eroiche e massacri indegni in nome di una libertà ambita, cercata, sognata. Una terra attraversata dal vento della Storia, brezza fresca che conserva però l'alito della Morte
Francesco Puma