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Detenuto in attesa di giudizio
Anno: 1971
Regista: Nanni Loy;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 22-06-2006


La grande guerra

Detenuto in attesa di giudizio. Nanni Loy. 1971. ITALIA.

Attori: Alberto Sordi, Nino Formicola, Tano Cimarosa, Lino Banfi, Antonio Casagrande, Gianfelice Bonagura.

Durata: 102’

 

 

Il geometra romano Giuseppe Di Noi dopo essersi trasferito in Svezia, a distanza di sei anni, decide di far ritorno in Italia per le vacanze, accompagnato dalla moglie ed i due bambini, tutti e tre svedesi. Alla dogana è fermato dalla polizia, perquisito e condotto in carcere con isolamento giudiziario. Tutto questo accade senza che Giuseppe ottenga alcuna spiegazione. La moglie, abbandonata al posto di frontiera, cerca di capire cosa gli sia accaduto. In carcere intanto viene comunicata a Giuseppe la colpa della quale si è macchiato: omicidio colposo preterintenzionale di un tedesco, che Giuseppe non riconosce assolutamente. Sottoposto ad un regime difficile, è trasferito assieme ad altri detenuti al carcere di Regina Coeli, mentre la moglie riesce ad avere un appuntamento al consolato dove una segretaria gli comunica l’accusa mossa contro suo marito. Trascorsa una settimana Giuseppe viene trasferito al carcere di Sagunto, nella provincia di Salerno, assieme ad un altro condannato, Saverio Bordascione, condannato per omicidio e considerato poco sano di mente. Saverio, che riconosce le difficoltà nelle quali versa Giuseppe, gli consiglia di mantenere la calma. Giuseppe domanda allora che siano spediti alcuni telegrammi all’ambasciata svedese ma poiché non sono scritti in italiano, il direttore del carcere li fa inviare all’ufficio per le traduzioni. Intanto nessun giudice può interrogare Giuseppe, poiché egli non è riuscito ancora a nominare un avvocato, sebbene ogni secondino ne abbia proposto un nome. Alla fine Di Noi nomina quello consigliatogli da Bordascione. Nel frattempo sua moglie si preoccupa di procurargliene uno svedese. A notte Bordascione apprende però che il suo avvocato ha sbagliato la difesa e si ritrova condannato a quattro anni. Creando scompiglio nel carcere, Bordascione è ucciso in cella dai secondini. Celebrati i funerali, durante una messa in carcere, Giuseppe provoca involontariamente una ribellione tra i condannati, i quali decidono di interagire con la funzione, sebbene il regolamento del carcere lo vieti. L’intervento del direttore non riesce a rimettere le cose al proprio posto anzi, a distanza di qualche ora la polemica si allarga al sistema della cucina, fino a che alcuni detenuti non riescono ad occupare i tetti del carcere. Giuseppe preferisce non accodarsi all’insurrezione e la rivolta è sedata a notte con l’intervento dell’esercito e l’uso dei lacrimogeni. Giuseppe viene comunque considerato tra i colpevoli e la mattina dopo viene trasferito in un altro carcere in una cella con delinquenti più pesanti. Questi, provando a fare il “sant’Antonio” a Di Noi, richiamano l’attenzione dei secondini i quali portano via Giuseppe in preda ad una crisi isterica. Finalmente Giuseppe, passata la crisi di nervi, può incontrare l’avvocato Giordana il quale, alla presenza del giudice, riesce a mettere a verbale che le cause della morte del tedesco sono da imputare ad un terremoto, che ha causato a sua volta il crollo del viadotto sul quale era morta la vittima. Tutti sono d’accordo che si tratti un caso di mala giustizia e così, firmato il verbale, Giuseppe è condotto in libertà. Ripartendo subito per la Svezia, Giuseppe alla dogana ha un’allucinazione nella quale un ufficiale gli chiede di accomodarsi nel suo ufficio ma lui, rifiutandosi e dandosi alla fuga, viene sparato. Si tratta però di un incubo ad occhi aperti, anche se l’ufficiale della dogana gli conferma che tutto è in regola e gli augura di tornare in Italia.

Da una sceneggiatura di chiara natura kafkiana, ben scritta dalla coppia Emilio Sanna e Sergio Amidi, il regista Nanni Loy sceglie di portare sul grande schermo un film di denuncia molto forte, ottimamente interpretato da Alberto Sordi, lontano dai clichè della commedia italiana grazie ai quali aveva raggiunto forse la più grande gratificazione cinematografica (e che con questo lavoro ottenne invece un più significativo riconoscimento con un David come miglior attore). È un film che s’inserisce nel più ampio filone italiano delle pellicole di denuncia, il cui più autorevole rappresentante era il regista Francesco Rosi, più vicino ad una rappresentazione didascalica degli eventi, ma d’impatto più potente, proprio perché glaciale. Con qualche allusione forse alla deportazione durante il fascismo (l’uccisione di un tedesco è la causa del delirio errante cui Giuseppe viene sottoposto, caratterizzato da trasporti sui treni) il film di Nanni Loy si concentra sull’odissea di uno sventurato, abbandonato agli effetti della mala giustizia. La storia di Giuseppe, infatti, non segue il caso nei salotti o nei tribunali, dove ci si sarebbe potuti concentrare per far emergere questo delirante caso di mala giustizia, ma pedina il protagonista dall’altra parte del diritto, negli effetti dunque, rappresentati dal carcere, dalla sottomissione (il secondino che è un “superiore”), dalla febbre delle prigioni, dalla violenza. Qualche accenno alla commedia è inevitabile, vista la presenza di Sordi, ma è così amaro il percorso fatto dal geometra emigrante, che non si può mai considerare tale una scena, sempre macchiata, infatti, da un melanconico senso della condanna incombente. La tortuosità di quest’odissea, il labirinto nel quale si perde Sordi/Di Noi, è ben riassunto nelle parole del condannato Bordascione, che alla stazione gli conferma che “niente è mai semplice quando si ha a che fare con la giustizia”. Per certi versi però il film si perde in questo delirio delle colpe (forse è un eccesso il fatto che egli venga visto anche come uno dei promotori della rivolta) ma quando il percorso si giustifica nell’assurdo del suo tema, allora tutto è concesso, anche l’eccesso (il delirio finale vissuto alla dogana). Ritornando alla drammaticità del testo, una delle scene più significati è sicuramente quella di Giuseppe che mangia una brodaglia, convincendo se stesso ed il secondino che si tratti di qualcosa di commestibile (senso che non sfugge al pubblico anche grazie al secco montaggio), così come molto interessante è anche l’immagine del treno che parte alla stazione dove tutti salutano affacciati dai finestrini, ma solo uno scompartimento ha il finestrino abbassato. Un film tuttora attuale, nonostante non vi sia più la lira, la dogana e Alberto Sordi.

 

 

Bucci Mario

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