Nodo
alla gola. Alfred
Hitchcock. 1948.
USA.
Attori: James
Stewart, John Dall, Farley Granger, Cedric Hardwicke, Joan Chandler
Durata: 80’
Titolo
originale: Rope
New York. La macchina da presa si affaccia su una strada,
ma in realtà ciò che interessa sta accadendo alle sue spalle, in un
appartamento con le tende ben tirate. Philip e Brandon hanno appena strozzato
con una corda il loro amico David e ne hanno nascosto il corpo in una
cassapanca. Dei due è proprio Philip il più preoccupato, anche perché stanno
aspettando ospiti. La prima a rientrare in casa dopo l’omicidio è la signorina
Wilson, l’anziana domestica, la quale non capisce perché i due abbiano occupato
la cassapanca per servire la cena. Poco dopo arrivano i primi ospiti: Kenneth,
amico di studi, seguito da Janet, ex compagna sia di Brandon che di Kenneth, ma
soprattutto attuale compagna della vittima. Proprio Janet fa emergere il lato
malvagio di Brandon nel momento in cui si accorge della presenza di Kenneth,
con il quale ha ancora difficoltà a spiegarsi. Poco dopo arrivano anche il
signor Henry Kentley e sua suocera, il primo padre proprio della vittima, ed
invitato alla cena per visionare alcuni libri antichi di Philip. L’ultimo
ospite ad arrivare è Rupert Cadell, ex professore di Brandon e proprio il
padrone di casa, di fronte a lui, sembra innervosirsi quanto il complice.
Quando incominciano a mangiare, viene affrontato l’argomento che più sta a
cuore sia a Brandon che a Rupert, l’omicidio come gesto del superuomo, con
riferimenti alla filosofia di Friedrich Nietzsche. Il signor Kentley non sembra
molto d’accordo ed ottiene che si passi ad un altro argomento. Mentre tutti gli
ospiti vanno a visionare i libri assieme al signor Kentley, Janet e Kenneth ne
approfittano per parlarsi e scoprono che la messa in scena di Brandon è stata
fatta per creare disordini nella sua relazione con David e così entrambi
accusano la malignità del padrone di casa. La signorina Wilson informa Rupert
del nervosismo che ha colto i due complici dal mattino, e Rupert incomincia a
fare qualche domanda più opportuna, soprattutto quando si accorge del
nervosismo di Philip nel vedere che i libri sono stati legati fra loro dalla
stessa corda con la quale hanno ucciso David. Chiama la madre dello scomparso,
che tutti gli ospiti attendono con ansia, e così sia il padre che la suocera,
sia Janet che Kenneth, decidono di chiudere la serata, preoccupati. Ad
andarsene è anche Rupert il quale, per pochi istanti, si accorge di aver preso
il cappello sbagliato. Rimasti soli, i due complici si confrontano con i nervi
molto tesi e la situazione si complica quando il professor Cadell richiama per
salire a cercare il portasigarette, da lui smarrito in casa. Brandon per
precauzione prende una rivoltella e la porta nella tasca della giacca, e fa
accomodare Rupert il quale finge di aver perso il portasigarette solo per fare
qualche domanda di più. Philip è sempre più nervoso e quando Rupert svela di
essersi accorto che Brandon ha una pistola nella tasca della giacca, cede e
prendendo la rivoltella prova a resistere, ma è disarmato dallo stesso Rupert
che, arma in mano, riesce ad aprire la cassapanca. Brandon prova a convincerlo
che la colpa di quell’omicidio è proprio degli insegnamenti di Rupert, ma il
professore comprende invece la natura malvagia di Brandon che ha trasformato in
azione le sue teorie e, spalancando la finestra, esplode tre colpi di
rivoltella in aria, attirando l’attenzione dei passanti. Rupert si siede su una
poltrona ed attende che arrivino le forze dell’ordine.
Divenuto un classico del “periodo
americano” di Alfred Hitchcock soprattutto per il virtuosismo con il quale il
maestro della suspence scelse di portarlo sullo schermo, attraverso il
montaggio di tanti pianosequenza da rendere il tutto un flusso unico di
movimenti della macchina da presa, il film in realtà ha più di un motivo per esser
considerato un prodotto discreto della creatività di Hitchcock. Prima di tutto
la sua teoria di base, che razionalizza gli insegnamenti della filosofia
nicciana fino alla sua più alta (o bassa) pratica, fraintesa nell’omicidio e
nella soppressione di figure ritenute inferiori (con chiarissimi riferimenti al
nazismo ed ai campi di concentramento, nel momento in cui il corpo di David è
appunto rinchiuso in un baule) ma anche sulla natura umana. Il film, infatti, ispirato ad un caso di
cronaca nera (il delitto Leopold-Loeb) e tratto da un lavoro teatrale di
Patrick Hamilton è anche un inno alla vita, che si mostra soprattutto nel
capovolgimento della teoria del superuomo e che viene ben esplicato (con un
leggero eccesso di moralismo) proprio dal professor Rupert, il quale ammette
l’errore di fondo del proprio pensiero filosofico, difendendone però il
carattere puramente teorico e condannandone invece l’atto pratico. Molto spinto
è il rapporto tra cibo e morte, nel momento in cui i protagonisti banchettano
servendosi da quello che in realtà non è un baule, una cassapanca, ma una bara
nella quale è conservato il corpo freddo della loro colpa. Molto pulito è (come
al solito) anche lo studio e l’analisi dell’omicidio, ancora una volta smontato
in tutti i suoi livelli e passaggi, ricco d’indizi bilanciati all’interno di
dialoghi e scena, e che infine sembra quasi mostrare quanto accaduto in
precedenza, con l’assenza di figure, ma spostando semplicemente la macchina da
presa all’interno della stanza. È la rievocazione della morte, il fantasma di
David che il regista segue in questi spostamenti, una sorta di partecipazione
medianica della morte nella spiegazione di Rupert. Ritornando però alla sua qualità
principale, quella del pianosequenza, sebbene sia chiara (vista la lunghezza
limitata dei rulli a disposizione) la necessità di ottenere degli stacchi, ve
ne sono alcuni che non confermano la scelta stilistica del regista (quello che
passa dal primo piano di Philip a quello di Rupert durante la storia dei polli,
e quello sulla signorina Wilson quando annuncia la telefonata della moglie del
signor Kentley). Per ottenere la mobilità della macchina da presa, furono
montate delle rotelle alla sua base, così come il resto dei mobili fu dotato
del medesimo ingegno, in modo da rendere più disinvolti gli spostamenti
dell’operatore. Anche il suono fu studiato in maniera diversa dal consueto, non
utilizzando la classica asta che sarebbe potuto diventare un impedimento per
l’operatore, ma distribuendo sei microfoni fissi sul set. Come lo stesso
regista ci ha tenuto a chiarire, per questo film si è basato sulla teoria del
contrappunto, descrivendo quindi un antefatto drammatico e mettendo in scena
una situazione conviviale che contrasta con quanto appena accaduto, e che rende
quindi la suspence tangibile ad ogni fotogramma. È un altro pregio del film
quello di essere riuscito a far coincidere in maniera assolutamente perfetta
tempo reale e tempo narrativo, questa una delle sfide vinte dal regista. Se poi
si vuole scandagliare meglio il significato del nodo alla gola (che è anche un
cappio per le esecuzioni) ci si rende conto che la critica è più ampia e tocca
anche la pena di morte (con la domanda chi è l’uomo per decidere della morte di
un suo simile?) ma da un punto di vista narrativo è anche una specie di
soffocamento cui il colpevole non può mai sfuggire, un nodo che soffoca la
coscienza e la razionalità di chi ha commesso il delitto, e che automaticamente
lo condanna ad essere scoperto. Molto sottile, quasi impercettibile,
l’allusione omosessuale alla complicità dei due omicidi. Per Nodo alla gola, si tratta anche del
primo film a colori di Alfred Hitchcock, per questo film anche produttore (ed è
anche questa la prima volta del regista in queste vesti). Cammeo immancabile
immediatamente dopo i titoli di testa, quando Hitchcock passa in strada prima
che la macchina da presa si volti verso l’esterno dell’abitazione nella quale
si sta consumando l’omicidio. Il film è circolato in Italia anche con un altro
titolo: Cocktail per un cadavere. La
pellicola non piacque al critico francese André Bazin, uno dei primi teorici
proprio del pianosequenza, poiché vide un utilizzo di questa tecnica senza veri
virtuosismi, ma più un espediente “commerciale” che un vero strumento di
sperimentazione, poiché secondo lui Hitchcock mostrò il difetto di rifare
comunque inquadrature classiche [i]. Può
essere anche accettata la critica di Bazin, ma non si può sottrarre al regista
comunque il successo di un lavoro riuscito, alla luce soprattutto di tutte le
“prima volta” che di questo film ne arricchiscono il valore (sebbene in verità
anche lo stesso regista parlò di un “pasticcio” riferendosi a questo suo lavoro
[ii]). In
realtà bisogna ammettere che la scelta di un insieme di pianosequenza ha
aiutato molto il film a finire sul grande schermo, poiché risente sicuramente
delle sue origini teatrali e che, raccontate con il decoupage classico,
avrebbero mostrato il limite della messa in scena, scavalcato proprio grazie
all’uso di una macchina da presa molto mobile. La scelta di inserire il
cadavere (oggetto dell’interesse per il pubblico) nel baule e di mantenerlo in
scena per tutta la durata del film, non è certo originale (nel momento poi in
cui si considera che per questo film in particolare si è adottato un testo
teatrale) ma non si può dimenticare lo stesso uso del “mistero” nella commedia
parodistica Arsenico e vecchi merletti
(1944) di Frank Capra. Infine, per citare l’impegno virtuoso del regista come
elemento caratterizzante della pellicola, è recentemente uscito in Italia il
lavoro del regista Louis Nero, dal titolo inequivocabile Pianosequenza (2004), che ha solo in questa caratteristica affinità
con il maestro della suspence.
Bucci Mario
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