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Nodo alla gola - Rope
Anno: 1948
Regista: Alfred Hitchcock;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Stati Uniti;
Data inserimento nel database: 22-06-2006


La grande guerra

Nodo alla gola.  Alfred Hitchcock. 1948. USA.

Attori: James Stewart, John Dall, Farley Granger, Cedric Hardwicke, Joan Chandler

Durata: 80’

Titolo originale: Rope

 

 

New York. La macchina da presa si affaccia su una strada, ma in realtà ciò che interessa sta accadendo alle sue spalle, in un appartamento con le tende ben tirate. Philip e Brandon hanno appena strozzato con una corda il loro amico David e ne hanno nascosto il corpo in una cassapanca. Dei due è proprio Philip il più preoccupato, anche perché stanno aspettando ospiti. La prima a rientrare in casa dopo l’omicidio è la signorina Wilson, l’anziana domestica, la quale non capisce perché i due abbiano occupato la cassapanca per servire la cena. Poco dopo arrivano i primi ospiti: Kenneth, amico di studi, seguito da Janet, ex compagna sia di Brandon che di Kenneth, ma soprattutto attuale compagna della vittima. Proprio Janet fa emergere il lato malvagio di Brandon nel momento in cui si accorge della presenza di Kenneth, con il quale ha ancora difficoltà a spiegarsi. Poco dopo arrivano anche il signor Henry Kentley e sua suocera, il primo padre proprio della vittima, ed invitato alla cena per visionare alcuni libri antichi di Philip. L’ultimo ospite ad arrivare è Rupert Cadell, ex professore di Brandon e proprio il padrone di casa, di fronte a lui, sembra innervosirsi quanto il complice. Quando incominciano a mangiare, viene affrontato l’argomento che più sta a cuore sia a Brandon che a Rupert, l’omicidio come gesto del superuomo, con riferimenti alla filosofia di Friedrich Nietzsche. Il signor Kentley non sembra molto d’accordo ed ottiene che si passi ad un altro argomento. Mentre tutti gli ospiti vanno a visionare i libri assieme al signor Kentley, Janet e Kenneth ne approfittano per parlarsi e scoprono che la messa in scena di Brandon è stata fatta per creare disordini nella sua relazione con David e così entrambi accusano la malignità del padrone di casa. La signorina Wilson informa Rupert del nervosismo che ha colto i due complici dal mattino, e Rupert incomincia a fare qualche domanda più opportuna, soprattutto quando si accorge del nervosismo di Philip nel vedere che i libri sono stati legati fra loro dalla stessa corda con la quale hanno ucciso David. Chiama la madre dello scomparso, che tutti gli ospiti attendono con ansia, e così sia il padre che la suocera, sia Janet che Kenneth, decidono di chiudere la serata, preoccupati. Ad andarsene è anche Rupert il quale, per pochi istanti, si accorge di aver preso il cappello sbagliato. Rimasti soli, i due complici si confrontano con i nervi molto tesi e la situazione si complica quando il professor Cadell richiama per salire a cercare il portasigarette, da lui smarrito in casa. Brandon per precauzione prende una rivoltella e la porta nella tasca della giacca, e fa accomodare Rupert il quale finge di aver perso il portasigarette solo per fare qualche domanda di più. Philip è sempre più nervoso e quando Rupert svela di essersi accorto che Brandon ha una pistola nella tasca della giacca, cede e prendendo la rivoltella prova a resistere, ma è disarmato dallo stesso Rupert che, arma in mano, riesce ad aprire la cassapanca. Brandon prova a convincerlo che la colpa di quell’omicidio è proprio degli insegnamenti di Rupert, ma il professore comprende invece la natura malvagia di Brandon che ha trasformato in azione le sue teorie e, spalancando la finestra, esplode tre colpi di rivoltella in aria, attirando l’attenzione dei passanti. Rupert si siede su una poltrona ed attende che arrivino le forze dell’ordine.

Divenuto un classico del “periodo americano” di Alfred Hitchcock soprattutto per il virtuosismo con il quale il maestro della suspence scelse di portarlo sullo schermo, attraverso il montaggio di tanti pianosequenza da rendere il tutto un flusso unico di movimenti della macchina da presa, il film in realtà ha più di un motivo per esser considerato un prodotto discreto della creatività di Hitchcock. Prima di tutto la sua teoria di base, che razionalizza gli insegnamenti della filosofia nicciana fino alla sua più alta (o bassa) pratica, fraintesa nell’omicidio e nella soppressione di figure ritenute inferiori (con chiarissimi riferimenti al nazismo ed ai campi di concentramento, nel momento in cui il corpo di David è appunto rinchiuso in un baule) ma anche sulla natura umana.  Il film, infatti, ispirato ad un caso di cronaca nera (il delitto Leopold-Loeb) e tratto da un lavoro teatrale di Patrick Hamilton è anche un inno alla vita, che si mostra soprattutto nel capovolgimento della teoria del superuomo e che viene ben esplicato (con un leggero eccesso di moralismo) proprio dal professor Rupert, il quale ammette l’errore di fondo del proprio pensiero filosofico, difendendone però il carattere puramente teorico e condannandone invece l’atto pratico. Molto spinto è il rapporto tra cibo e morte, nel momento in cui i protagonisti banchettano servendosi da quello che in realtà non è un baule, una cassapanca, ma una bara nella quale è conservato il corpo freddo della loro colpa. Molto pulito è (come al solito) anche lo studio e l’analisi dell’omicidio, ancora una volta smontato in tutti i suoi livelli e passaggi, ricco d’indizi bilanciati all’interno di dialoghi e scena, e che infine sembra quasi mostrare quanto accaduto in precedenza, con l’assenza di figure, ma spostando semplicemente la macchina da presa all’interno della stanza. È la rievocazione della morte, il fantasma di David che il regista segue in questi spostamenti, una sorta di partecipazione medianica della morte nella spiegazione di Rupert. Ritornando però alla sua qualità principale, quella del pianosequenza, sebbene sia chiara (vista la lunghezza limitata dei rulli a disposizione) la necessità di ottenere degli stacchi, ve ne sono alcuni che non confermano la scelta stilistica del regista (quello che passa dal primo piano di Philip a quello di Rupert durante la storia dei polli, e quello sulla signorina Wilson quando annuncia la telefonata della moglie del signor Kentley). Per ottenere la mobilità della macchina da presa, furono montate delle rotelle alla sua base, così come il resto dei mobili fu dotato del medesimo ingegno, in modo da rendere più disinvolti gli spostamenti dell’operatore. Anche il suono fu studiato in maniera diversa dal consueto, non utilizzando la classica asta che sarebbe potuto diventare un impedimento per l’operatore, ma distribuendo sei microfoni fissi sul set. Come lo stesso regista ci ha tenuto a chiarire, per questo film si è basato sulla teoria del contrappunto, descrivendo quindi un antefatto drammatico e mettendo in scena una situazione conviviale che contrasta con quanto appena accaduto, e che rende quindi la suspence tangibile ad ogni fotogramma. È un altro pregio del film quello di essere riuscito a far coincidere in maniera assolutamente perfetta tempo reale e tempo narrativo, questa una delle sfide vinte dal regista. Se poi si vuole scandagliare meglio il significato del nodo alla gola (che è anche un cappio per le esecuzioni) ci si rende conto che la critica è più ampia e tocca anche la pena di morte (con la domanda chi è l’uomo per decidere della morte di un suo simile?) ma da un punto di vista narrativo è anche una specie di soffocamento cui il colpevole non può mai sfuggire, un nodo che soffoca la coscienza e la razionalità di chi ha commesso il delitto, e che automaticamente lo condanna ad essere scoperto. Molto sottile, quasi impercettibile, l’allusione omosessuale alla complicità dei due omicidi. Per Nodo alla gola, si tratta anche del primo film a colori di Alfred Hitchcock, per questo film anche produttore (ed è anche questa la prima volta del regista in queste vesti). Cammeo immancabile immediatamente dopo i titoli di testa, quando Hitchcock passa in strada prima che la macchina da presa si volti verso l’esterno dell’abitazione nella quale si sta consumando l’omicidio. Il film è circolato in Italia anche con un altro titolo: Cocktail per un cadavere. La pellicola non piacque al critico francese André Bazin, uno dei primi teorici proprio del pianosequenza, poiché vide un utilizzo di questa tecnica senza veri virtuosismi, ma più un espediente “commerciale” che un vero strumento di sperimentazione, poiché secondo lui Hitchcock mostrò il difetto di rifare comunque inquadrature classiche [i]. Può essere anche accettata la critica di Bazin, ma non si può sottrarre al regista comunque il successo di un lavoro riuscito, alla luce soprattutto di tutte le “prima volta” che di questo film ne arricchiscono il valore (sebbene in verità anche lo stesso regista parlò di un “pasticcio” riferendosi a questo suo lavoro [ii]). In realtà bisogna ammettere che la scelta di un insieme di pianosequenza ha aiutato molto il film a finire sul grande schermo, poiché risente sicuramente delle sue origini teatrali e che, raccontate con il decoupage classico, avrebbero mostrato il limite della messa in scena, scavalcato proprio grazie all’uso di una macchina da presa molto mobile. La scelta di inserire il cadavere (oggetto dell’interesse per il pubblico) nel baule e di mantenerlo in scena per tutta la durata del film, non è certo originale (nel momento poi in cui si considera che per questo film in particolare si è adottato un testo teatrale) ma non si può dimenticare lo stesso uso del “mistero” nella commedia parodistica Arsenico e vecchi merletti (1944) di Frank Capra. Infine, per citare l’impegno virtuoso del regista come elemento caratterizzante della pellicola, è recentemente uscito in Italia il lavoro del regista Louis Nero, dal titolo inequivocabile Pianosequenza (2004), che ha solo in questa caratteristica affinità con il maestro della suspence.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]

 



[i] Antonio Costa. Saper vedere il cinema. Bompiani. pg. 186

[ii] Françoise Truffaut. Il cinema secondo Hitchcock. L’unità. pg. 148