Cabiria.
Giovanni Pastrone. 1914.
ITALIA.
Attori: Umberto Mozzato, Lydia
Quaranta, Bartolomeo Pagano, Italia Almirante Manzini
Durata: 114’
Seconda guerra punica, terzo secolo a.C.. La piccola
Cabiria, figlia di Batto, durante il crollo del palazzo di Catania a causa
dell’esplosione del vulcano, è creduta morta assieme alla sua ancella Croessa.
In realtà erano riuscite a salvarsi rifugiandosi assieme ai servi in un
passaggio segreto sotto il palazzo. Giunti tutti sulle spiagge erano però stati
aggrediti dai fenici e Cabiria e Croessa in particolare vendute a Cartagine a
Karthalo, il sacerdote che sacrificava i bambini al Moloch, dio del bronzo.
Dopo essere stata frustata, Croessa incontra il patrizio Fulvio Axillo ed il
suo servo Maciste ai quali domanda di salvare la piccola Cabiria. L’intervento
dei due infatti evita il sacrificio della bambina dopo il quale si rifugiano
nella locanda La scimmia listata dove lavora l’anziano Bodastoret. Negli stessi
giorni Annibale sta attraversando le Alpi e Fulvio Axillo medita di tornare in
patria per difendere Roma. Intanto si cerca marito per Sofonisba, la figlia di
Asdrubale. Una soffiata porta le guardie alla locanda e costringe Axillo e
Maciste a fuggire con la piccola Cabiria. Si nascondono nel campo di cedri dove
Sofonisba e Massinissa si erano dati appuntamento per conoscersi. Cabiria
finisce allora nelle mani della figlia del re mentre Maciste viene catturato ed
incatenato. La discesa di Annibale subisce un duro colpo e la città di
Siracusa, alleata ai cartaginesi, viene stretta sotto assedio dalle navi
romane. Archimede studia l’uso del riflesso degli specchi e riesce così a bruciare
le navi romane respingendo l’attacco. Fulvio Axillo si salva e portato dalla
corrente a riva viene trovato da un gruppo di viandanti i quali, riconoscendo
l’anello di famiglia regalatogli da Croessa, lo conducono da Batto. Ritornato a
Cartagine, Axillo libera Maciste mentre Karthalo arriva a Cirta per convincere
Siface ad attaccare Roma, ma il suo campo militare viene bruciato dall’arrivo di
Scipione, console romano in Spagna. Alla ricerca della ragazza, Axillo e
Maciste sono fatti di nuovo prigionieri, questa volta di Massinissa. Nel
frattempo un sogno fa scoprire a Sofonisba che l’ancella Elissa è Cabiria ormai
cresciuta. Il duce romano Massinissa, vincendo contro Cirta e conquistandola,
pretende anche di avere in moglie Sofonisba come bottino di guerra, mentre Axillo
e Maciste riescono ancora una volta a fuggire. Massinissa sceglie di
abbandonare la fede romana per amore della regina, ma è interpellato dal
console Scipione che non è d’accordo. Con l’aiuto di Maciste Massinissa fa
recapitare un dono a Sofonisba la quale, obbligata ad andare in moglie a
Scipione, decide di suicidarsi, mentre Cartagine cade e Cabiria è tratta in
salvo e va in sposa al patrizio Axillo.
Mentre il cinema dei pionieri negli Stati Uniti ed in
Francia percorreva ancora la strada delle prime sperimentazioni, in Italia
autori come Giovanni Pastrone (che per questo film si firmò con lo pseudonimo dannunziano
Piero Fosco), realizzavano i primi colossal del cinema mondiale. Scritto però
in tempo di guerra, ispirandosi a poemi della cultura classica mediterranea, le
cui didascalie furono appositamente composte dal poeta Gabriele D’annunzio, il
film altro non è che una sontuosa ma sottile chiamata alle armi per il popolo
italiano che, uscito dalla guerra in Libia del 1911, difatti (ma non per merito
di questo film) l’anno seguente entrò in guerra dichiarando avversità contro la
Germania e l’Austria. Sebbene però l’intera sceneggiatura sia stata attribuita
a D’Annunzio, in realtà il poeta si limitò ad inventare i nomi dei personaggi ed
a comporre le auliche didascalie (per cinquantamila lire in oro) [i]. Probabilmente
invece i soggetti utilizzati per la scrittura del film furono i testi Cartagine in fiamme di Emilio Salgari e Salammbo di Gustave Flaubert. Da un
punto di vista strettamente tecnico, il film di Pastrone mostra tutti le prime
rudimentali conquiste del linguaggio cinematografico ancora assenti nelle altre
produzioni: uso dei carrelli (di cui Pastrone aveva anche il brevetto), delle
panoramiche, uso delle lunghe profondità, messa in scena sontuosa (oltre il
tempio del Moloch furono ricostruite in studio anche Cartagine e Siracusa), l’insolita
lunghezza della pellicola, e l’uso delle luci. Manca ancora la conquista dello
spazio filmico (ottenuta solo attraverso il montaggio di tanti punti di vista)
ma si raggiunge in questa pellicola una matura concezione dello spazio
cinematografico, fatta come si è detto di campi lunghi ed affrontata con
carrelli che permettevano di isolare i personaggi all’interno di contesti
figurativi più ampi. A livello di produzione siamo di fronte al film più
costoso del periodo, costato cioè quasi un milione di lire in oro, tra esterni
girati in Tunisia, sulle Alpi e in Sicilia. Grazie anche a questa pellicola,
emerge durante il decennio seguente la figura del macho, personificata dall’attore Bartolomeo Pagano (che interpreta
Maciste) non attore professionista ma scaricatore di porto scoperto a Genova
dal regista e che da quel momento divenne interprete di una serie di film
dedicati proprio al personaggio di Maciste realizzati fino al 1926. Come tutti
i colossal realizzati in questo periodo e che traggono ispirazione dai poemi
epici (a volte classici a volte cavallereschi) esiste dietro un pensiero
nazionalista nel quale la forza, la violenza, il coraggio, sono elementi al
servizio di patrie, fiducie, promesse che alludono alla storia ed alla politica
attuale al periodo di realizzazione del film. La casa di produzione che
realizzò questo lavoro, la Itala Film di Torino, era diretta proprio da Giovanni
Pastrone (che aveva cominciato come semplice funzionario) e del suo socio
Sciamengo, mentre compare tra gli operatori alla macchina da presa il regista
spagnolo Segundo de Chomòn. Dopo altre esperienze cinematografiche come
regista, l’ultimo impegno di Giovanni Pastrone fu proprio la riedizione proprio
di questo film con la versione del 1931. Poiché la velocità di scorrimento
all’epoca in cui il film fu proiettato nelle sale era di 16 fotogrammi il secondo
e non di 24, la durata originale sfiorava quasi le tre ore. A causa del blocco
che si formò tra le nazioni durante il periodo della Prima Guerra mondiale, il
colossal epico (dai costi elevatissimi) non poté continuare ad essere
realizzato poiché non si riuscì più a venderlo agli altri paesi e quindi a
rientrare con le spese. Una copia di Cabiria
fu acquistata dallo stesso D. W. Griffith il quale la studiò attentamente prima
di realizzare Intolerance (1916). Tutti
questi film colossali ed epici però dimostrarono che il cinema stava
raggiungendo una tale maturità da poter descrivere anche il passato come
qualcosa di sempre più reale. La prima proiezione del film avvenne il 18 aprile
1914 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino, dove ad eseguire le musiche fu
Manlio Mazza che diresse un’orchestra intera (per la scena del sacrificio
invece le musiche della Sinfonia del
fuoco furono composte da Pizzetti). Ne esiste un remake, Cartagine in fiamme (1959) di Carmine
Gallone [ii].
Bucci Mario
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