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Cabiria
Anno: 1914
Regista: Giovanni Pastrone;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Cabiria. Giovanni Pastrone. 1914. ITALIA.

Attori: Umberto Mozzato, Lydia Quaranta, Bartolomeo Pagano, Italia Almirante Manzini

Durata: 114’

 

 

Seconda guerra punica, terzo secolo a.C.. La piccola Cabiria, figlia di Batto, durante il crollo del palazzo di Catania a causa dell’esplosione del vulcano, è creduta morta assieme alla sua ancella Croessa. In realtà erano riuscite a salvarsi rifugiandosi assieme ai servi in un passaggio segreto sotto il palazzo. Giunti tutti sulle spiagge erano però stati aggrediti dai fenici e Cabiria e Croessa in particolare vendute a Cartagine a Karthalo, il sacerdote che sacrificava i bambini al Moloch, dio del bronzo. Dopo essere stata frustata, Croessa incontra il patrizio Fulvio Axillo ed il suo servo Maciste ai quali domanda di salvare la piccola Cabiria. L’intervento dei due infatti evita il sacrificio della bambina dopo il quale si rifugiano nella locanda La scimmia listata dove lavora l’anziano Bodastoret. Negli stessi giorni Annibale sta attraversando le Alpi e Fulvio Axillo medita di tornare in patria per difendere Roma. Intanto si cerca marito per Sofonisba, la figlia di Asdrubale. Una soffiata porta le guardie alla locanda e costringe Axillo e Maciste a fuggire con la piccola Cabiria. Si nascondono nel campo di cedri dove Sofonisba e Massinissa si erano dati appuntamento per conoscersi. Cabiria finisce allora nelle mani della figlia del re mentre Maciste viene catturato ed incatenato. La discesa di Annibale subisce un duro colpo e la città di Siracusa, alleata ai cartaginesi, viene stretta sotto assedio dalle navi romane. Archimede studia l’uso del riflesso degli specchi e riesce così a bruciare le navi romane respingendo l’attacco. Fulvio Axillo si salva e portato dalla corrente a riva viene trovato da un gruppo di viandanti i quali, riconoscendo l’anello di famiglia regalatogli da Croessa, lo conducono da Batto. Ritornato a Cartagine, Axillo libera Maciste mentre Karthalo arriva a Cirta per convincere Siface ad attaccare Roma, ma il suo campo militare viene bruciato dall’arrivo di Scipione, console romano in Spagna. Alla ricerca della ragazza, Axillo e Maciste sono fatti di nuovo prigionieri, questa volta di Massinissa. Nel frattempo un sogno fa scoprire a Sofonisba che l’ancella Elissa è Cabiria ormai cresciuta. Il duce romano Massinissa, vincendo contro Cirta e conquistandola, pretende anche di avere in moglie Sofonisba come bottino di guerra, mentre Axillo e Maciste riescono ancora una volta a fuggire. Massinissa sceglie di abbandonare la fede romana per amore della regina, ma è interpellato dal console Scipione che non è d’accordo. Con l’aiuto di Maciste Massinissa fa recapitare un dono a Sofonisba la quale, obbligata ad andare in moglie a Scipione, decide di suicidarsi, mentre Cartagine cade e Cabiria è tratta in salvo e va in sposa al patrizio Axillo.

Mentre il cinema dei pionieri negli Stati Uniti ed in Francia percorreva ancora la strada delle prime sperimentazioni, in Italia autori come Giovanni Pastrone (che per questo film si firmò con lo pseudonimo dannunziano Piero Fosco), realizzavano i primi colossal del cinema mondiale. Scritto però in tempo di guerra, ispirandosi a poemi della cultura classica mediterranea, le cui didascalie furono appositamente composte dal poeta Gabriele D’annunzio, il film altro non è che una sontuosa ma sottile chiamata alle armi per il popolo italiano che, uscito dalla guerra in Libia del 1911, difatti (ma non per merito di questo film) l’anno seguente entrò in guerra dichiarando avversità contro la Germania e l’Austria. Sebbene però l’intera sceneggiatura sia stata attribuita a D’Annunzio, in realtà il poeta si limitò ad inventare i nomi dei personaggi ed a comporre le auliche didascalie (per cinquantamila lire in oro) [i]. Probabilmente invece i soggetti utilizzati per la scrittura del film furono i testi Cartagine in fiamme di Emilio Salgari e Salammbo di Gustave Flaubert. Da un punto di vista strettamente tecnico, il film di Pastrone mostra tutti le prime rudimentali conquiste del linguaggio cinematografico ancora assenti nelle altre produzioni: uso dei carrelli (di cui Pastrone aveva anche il brevetto), delle panoramiche, uso delle lunghe profondità, messa in scena sontuosa (oltre il tempio del Moloch furono ricostruite in studio anche Cartagine e Siracusa), l’insolita lunghezza della pellicola, e l’uso delle luci. Manca ancora la conquista dello spazio filmico (ottenuta solo attraverso il montaggio di tanti punti di vista) ma si raggiunge in questa pellicola una matura concezione dello spazio cinematografico, fatta come si è detto di campi lunghi ed affrontata con carrelli che permettevano di isolare i personaggi all’interno di contesti figurativi più ampi. A livello di produzione siamo di fronte al film più costoso del periodo, costato cioè quasi un milione di lire in oro, tra esterni girati in Tunisia, sulle Alpi e in Sicilia. Grazie anche a questa pellicola, emerge durante il decennio seguente la figura del macho, personificata dall’attore Bartolomeo Pagano (che interpreta Maciste) non attore professionista ma scaricatore di porto scoperto a Genova dal regista e che da quel momento divenne interprete di una serie di film dedicati proprio al personaggio di Maciste realizzati fino al 1926. Come tutti i colossal realizzati in questo periodo e che traggono ispirazione dai poemi epici (a volte classici a volte cavallereschi) esiste dietro un pensiero nazionalista nel quale la forza, la violenza, il coraggio, sono elementi al servizio di patrie, fiducie, promesse che alludono alla storia ed alla politica attuale al periodo di realizzazione del film. La casa di produzione che realizzò questo lavoro, la Itala Film di Torino, era diretta proprio da Giovanni Pastrone (che aveva cominciato come semplice funzionario) e del suo socio Sciamengo, mentre compare tra gli operatori alla macchina da presa il regista spagnolo Segundo de Chomòn. Dopo altre esperienze cinematografiche come regista, l’ultimo impegno di Giovanni Pastrone fu proprio la riedizione proprio di questo film con la versione del 1931. Poiché la velocità di scorrimento all’epoca in cui il film fu proiettato nelle sale era di 16 fotogrammi il secondo e non di 24, la durata originale sfiorava quasi le tre ore. A causa del blocco che si formò tra le nazioni durante il periodo della Prima Guerra mondiale, il colossal epico (dai costi elevatissimi) non poté continuare ad essere realizzato poiché non si riuscì più a venderlo agli altri paesi e quindi a rientrare con le spese. Una copia di Cabiria fu acquistata dallo stesso D. W. Griffith il quale la studiò attentamente prima di realizzare Intolerance (1916). Tutti questi film colossali ed epici però dimostrarono che il cinema stava raggiungendo una tale maturità da poter descrivere anche il passato come qualcosa di sempre più reale. La prima proiezione del film avvenne il 18 aprile 1914 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino, dove ad eseguire le musiche fu Manlio Mazza che diresse un’orchestra intera (per la scena del sacrificio invece le musiche della Sinfonia del fuoco furono composte da Pizzetti). Ne esiste un remake, Cartagine in fiamme (1959) di Carmine Gallone [ii].

 

 

Bucci Mario

        [email protected]



[i] Morando Morandini. Dizionario dei film 2004. Zanichelli.

[ii] Georges Sadoul. Dizionario dei film. Sansoni editore.