O
ritual dos sádicos. Josè
Mojica Marins. 1970. BRASILE.
Attori: Andreia Bryan, Ronaldo Beibe, Ângelo Assunção, José Mojica Marins (Zé do Caixão)
Durata: 93’
Un susseguirsi di scene e sequenze surreali, commentate da
un medico ed alcuni ospiti, introducono al rapporto tra droga e devianza. Ospite
del medico è anche il regista Josè Mojica Marins, autore ed interprete del
leggendario personaggio di Zè do Caixão, anima sadiana e vampiresca dell’horror
brasiliano. Emerge dal discorso del professore uno studio effettuato su quattro
tossici in particolare, scelti tra quelli in precedenza visionati, cui il
medico ha somministrato LSD. La presenza del regista è giustificata in quanto
come argomento comune i quattro avevano scelto proprio
il suddetto personaggio, Zè do Caixão. Sotto effetto
della sostanza ed impressionati dal suo mito, i quattro avevano avuto
altrettante allucinazioni effettuando viaggi nei propri vizi e dei quali Zè era
stato il gran conduttore. A conclusione dell’esperimento, che sembra dar
ragione ai più convinti sostenitori della tesi sulla colpevolezza delle droghe,
il medico svela in realtà l’uso d’acqua al posto della sostanza lisergica e dimostra
così agli ospiti che la violenza o le perversioni non sono direttamente
collegate all’uso di sostanze psicotrope ma alla natura umana delle “cavie”. Si
accendono le luci e si scopre il set di una radio-televisione dove l’intero
colloquio è stato registrato. All’uscita dal network Josè annuncia al medico d’essere
pronto per il suo prossimo film, O ritual
dos Sàdicos, poi guarda in macchina e dice “Cut!”.
Percorso psichedelico e caotico nel
metacinema brasiliano, a firma di uno degli autori più discussi del paese, Josè
Modica Marins, in arte appunto Zè do Caixão.
Cinema novo, avanguardia dissacrante, surrealismo, egotismo, B-movies, low
budget: c’è di tutto in questa pellicola all’apparenza strampalata e in realtà
costruita su così tanti assi ed ellissi da confondere lo spettatore fino alla
fine, fino a quel cut! sfrontato che chiude in faccia al pubblico un discorso
affrontato tortuosamente, ma di petto. L’indole umana è scoperta, dilaniata,
derisa (la finta somministrazione del LSD, e l’autoconvinzione delle cavie),
cinicamente svelata e sbattuta in faccia come il sedere di una ragazza che si
appresta su un vasetto da notte, e che poco dopo muore violentata da un
santone. Un crescendo sadiano che soddisfa i fan fedeli del regista, ma che sa
anche mettere in chiaro la natura “d’autore” di questa pellicola di serie B,
con lo sdoppiamento effettivo del personaggio Zè/Josè: l’intervista in radio
che separa il regista dal suo incubo e che sino a questa pellicola avevano
sempre coesistito. Pellicola che passa dal bianco e nero al colore del viaggio
psichedelico (dall’uso all’effetto della realtà), falsando poi i parametri di
percezione del pubblico che, una volta che scopre che si tratta di deliranti
autosuggestioni, codifica con il colore il delirio, e quindi il sogno
cinematografico che il personaggio di Zè, con tutto il suo nichilismo, evoca
dall’inizio della sua carriera. Non è quindi un film sulla droga o sulla
violenza, un documentario che vorrebbe passare per tale, ma una pellicola
d’autore che riflette attraverso l’autocitazione, attraverso il suo fantasma,
ed il suo pubblico i dilemmi più profondi e macabri sull’indole umana. È un
viaggio in LSD il cinema di Josè Mojica Marins, ma non c’è sostanza sotto, solo
l’inconscio di chi partecipa. Il padre del regista lavorava nel circo, e sono
rintracciabili infatti alcuni elementi del cinema di Aleandro Jodorowski, altro
cineasta (apolide) surrealista molto vicino per temi, autocitazione ed
autoreferenzialità, ed iconografie.
Bucci Mario
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