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O ritual dos sádicos
Anno: 1970
Regista: Josè Mojica Marins;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Brasile;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

O ritual dos sádicos. Josè Mojica Marins. 1970. BRASILE.

Attori: Andreia Bryan, Ronaldo Beibe, Ângelo Assunção, José Mojica Marins (Zé do Caixão)

Durata: 93’

 

 

Un susseguirsi di scene e sequenze surreali, commentate da un medico ed alcuni ospiti, introducono al rapporto tra droga e devianza. Ospite del medico è anche il regista Josè Mojica Marins, autore ed interprete del leggendario personaggio di Zè do Caixão, anima sadiana e vampiresca dell’horror brasiliano. Emerge dal discorso del professore uno studio effettuato su quattro tossici in particolare, scelti tra quelli in precedenza visionati, cui il medico ha somministrato LSD. La presenza del regista è giustificata in quanto come argomento comune i quattro avevano scelto proprio il suddetto personaggio, Zè do Caixão. Sotto effetto della sostanza ed impressionati dal suo mito, i quattro avevano avuto altrettante allucinazioni effettuando viaggi nei propri vizi e dei quali Zè era stato il gran conduttore. A conclusione dell’esperimento, che sembra dar ragione ai più convinti sostenitori della tesi sulla colpevolezza delle droghe, il medico svela in realtà l’uso d’acqua al posto della sostanza lisergica e dimostra così agli ospiti che la violenza o le perversioni non sono direttamente collegate all’uso di sostanze psicotrope ma alla natura umana delle “cavie”. Si accendono le luci e si scopre il set di una radio-televisione dove l’intero colloquio è stato registrato. All’uscita dal network Josè annuncia al medico d’essere pronto per il suo prossimo film, O ritual dos Sàdicos, poi guarda in macchina e dice “Cut!”.

Percorso psichedelico e caotico nel metacinema brasiliano, a firma di uno degli autori più discussi del paese, Josè Modica Marins, in arte appunto Zè do Caixão. Cinema novo, avanguardia dissacrante, surrealismo, egotismo, B-movies, low budget: c’è di tutto in questa pellicola all’apparenza strampalata e in realtà costruita su così tanti assi ed ellissi da confondere lo spettatore fino alla fine, fino a quel cut! sfrontato che chiude in faccia al pubblico un discorso affrontato tortuosamente, ma di petto. L’indole umana è scoperta, dilaniata, derisa (la finta somministrazione del LSD, e l’autoconvinzione delle cavie), cinicamente svelata e sbattuta in faccia come il sedere di una ragazza che si appresta su un vasetto da notte, e che poco dopo muore violentata da un santone. Un crescendo sadiano che soddisfa i fan fedeli del regista, ma che sa anche mettere in chiaro la natura “d’autore” di questa pellicola di serie B, con lo sdoppiamento effettivo del personaggio Zè/Josè: l’intervista in radio che separa il regista dal suo incubo e che sino a questa pellicola avevano sempre coesistito. Pellicola che passa dal bianco e nero al colore del viaggio psichedelico (dall’uso all’effetto della realtà), falsando poi i parametri di percezione del pubblico che, una volta che scopre che si tratta di deliranti autosuggestioni, codifica con il colore il delirio, e quindi il sogno cinematografico che il personaggio di Zè, con tutto il suo nichilismo, evoca dall’inizio della sua carriera. Non è quindi un film sulla droga o sulla violenza, un documentario che vorrebbe passare per tale, ma una pellicola d’autore che riflette attraverso l’autocitazione, attraverso il suo fantasma, ed il suo pubblico i dilemmi più profondi e macabri sull’indole umana. È un viaggio in LSD il cinema di Josè Mojica Marins, ma non c’è sostanza sotto, solo l’inconscio di chi partecipa. Il padre del regista lavorava nel circo, e sono rintracciabili infatti alcuni elementi del cinema di Aleandro Jodorowski, altro cineasta (apolide) surrealista molto vicino per temi, autocitazione ed autoreferenzialità, ed iconografie.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]