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Casablanca
Anno: 1942
Regista: Michael Curtiz;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Casablanca. Michael Curtiz. 1942. U.S.A.

Attori: Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Paul Henreid, Claude Rains, Peter Lorre, Conrad Veidt, Sydney Greenstreet, Marcel Dalio, S.Z. Sakall

Durata: 102’

 

 

Dicembre 1941. Casablanca. Marocco. Il nazismo imperversa in tutta Europa e chi vuole fuggire per gli Stati Uniti deve passare per questa città, da dove può imbarcarsi per Lisbona e prendere un volo per l’America. Coloro che non hanno il visto per la capitale portoghese, aspettano, aspettano, aspettano… Nel deserto vengono trovati morti due tedeschi ai quali sono stati sottratti visti per lasciare il paese. Il contrabbandiere Ugarte, prima di essere arrestato, riesce ad affidare i documenti all’americano Rick Blaine, proprietario di un night club, che li nasconde nel pianoforte. Il maggiore nazista Strasser informa Rick, con l’aiuto del capo della polizia francese Renault, della presenza a Casablanca di Victor Laszlo, cospiratore contro il 3° Reich, e della volontà da parte del suo governo di arrestarlo. Proprio quella sera si presenta nel locale Laszlo, accompagnato da Ilsa, una donna che riconosce subito il pianista Sam, ed al quale chiede di suonare una canzone in particolare. Sentendo la musica nel suo locale, Rick riconosce la donna e a notte fonda, con una bottiglia di wisky, ricorda come si erano conosciuti e di quando si erano frequentati a Parigi prima che lui fuggisse, ritrovandosi però da solo in fuga perché lei non si era presentata all’appuntamento alla stazione. Quella stessa notte Ilsa torna nel locale per affrontare il passato con Rick, ma lui l’allontana ancora offeso per quell’abbandono. La mattina dopo la coppia Laszlo si presenta, come domandatogli, al commissariato di polizia dove il maggiore Strasser  gli chiede di fare i nomi degli altri cospiratori in cambio della possibilità di espatrio. L’uomo si rifiuta e i due militari lo obbligano allora a fermarsi a tempo indeterminato a Casablanca. Lo stesso giorno Rick si presenta al locale Il pappagallo blu, dove i due coniugi sono andati a cercare i visti falsi per espatriare. Qui Rick chiarisce ogni cosa con Ilsa che lo informa che anche a Parigi lei era sposata a Laszlo ma che credendolo morto aveva cercato di rifarsi una vita con lui, e che lo aveva abbandonato solo dopo aver appreso che suo marito era ancora vivo. Il proprietario del Pappagallo blu intanto, informa Victor che colui che potrebbe avere i visti di Ugarte è proprio Rick. A sera la coppia si ripresenta nel locale di Rick e Victor prova inutilmente a convincere Rick a dargli quei documenti. Per uno scontro sugli inni nazionali, il maggiore Strasser fa chiudere il locale. A notte, mentre Victor incontra un gruppo di rivoluzionari, Ilsa torna da Rick per convincerlo a dargli quei visti, minacciandolo anche con una pistola, ma lo convince solo promettendogli che lei rimarrà a Casablanca se darà i visti a Victor. A causa di una retata Laszlo si rifugia proprio da Rick, accompagnato da Carl, il capo cameriere del locale. La polizia irrompe nel locale e arresta Victor, mentre Ilsa è fatta allontanare in anticipo. La mattina dopo Rick si presenta al comando di polizia con una proposta: far arrestare Laszlo con fragranza di reato, passandogli i visti alla presenza di Renault, ma con in cambio la possibilità concessa a lui e ad Ilsa di lasciare Casablanca. A sera però, l’incontro si trasforma in una trappola per Renault che riesce solo a fare una telefonata a Strasser prima di accompagnare i tre all’aeroporto sotto minaccia di una pistola. Qui firma i due permessi per la coppia Laszlo e mentre questi stanno per partire arriva il maggiore. Per fermarlo Rick è costretto a sparargli. L’aereo di Victor e Ilsa può partire e il comandante Renault decide di coprire il gesto di Rick, mostrando la volontà di rompere i suoi legami con la Repubblica di Vichy.        

Melodramma politico dalle tinte noir, leggenda del cinema hollywoodiano classico, e non solo, il film realizzato dal regista ungherese (il cui vero nome era Mihàly Kertész) è il migliore della sua lunga filmografia, iniziata in patria e conclusa appunto in America. Un rappresentante della repubblica di Vichy, un maggiore nazista, un americano che non ha più interesse nelle sorti della guerra, ed una coppia di cospiratori incrociano il loro destino in una città di frontiera, la Casablanca dei traffici e della legalità superficiale (il capo della polizia corrotto), il non luogo delle coscienze politiche dove si riflette sulla sorte del mondo, sul destino degli uomini, sulla fedeltà ai regimi ma soprattutto sulla fedeltà alla libertà. Se da un lato infatti esiste una storia d’amore che non si conclude (quella tra Rick e Ilsa) dall’altro lato c’è una vittoria della responsabilità individuale di fronte al destino del mondo, una rinuncia alla soddisfazione delle piccole necessità affettive (Rick che non si è mai più ripreso da quell’abbandono alla stazione di Parigi) di fronte al più grande impegno di salvare la vita (e l’amore) di due cospiratori del Terzo Reich. Il melodramma diventa allora solo una traccia, uno strumento narrativo per parlare invece di qualcosa di più grande degli esseri umani: il loro destino. Uscito infatti nelle sale nel 1942, nel pieno dunque del secondo conflitto mondiale, Casablanca è un film sulla frontiera, una sorta di western privo di indiani, dove il nemico è l’autorità non riconosciuta (i tedeschi comandano sul suolo francese) e la frontiera ancora una volta metafora di un passaggio, di un attraversamento sia storico che individuale, un percorso sul quale appunto si incrociano destini più grandi di quelli dei protagonisti (dei paesi che ognuno rappresenta). Ad un certo punto Rick si domanda cosa stiano facendo nel suo paese nello stesso momento, rispondendosi da solo che probabilmente a quell’ora stanno tutti dormendo: è un gesto di denuncia fatto da parte del regista sulla posizione degli States di fronte al disastro nazi-fascista, ma anche un gesto di denuncia lucido verso chi questa ascesa l’ha anche appoggiata (il commissario Renualt dice “Io mi faccio i fatti miei”). A distanza di anni, sebbene si tratti di argomenti datati, il film conserva il suo fascino integralmente poiché appunto il melodramma sul quale è scritto non regge confronti per corposità mentre torna oggi, a distanza appunto di tanti anni, ancora in voga il discorso sulla tratta dei profughi, la speculazione sul passaggio delle frontiere (dopo la caduta del muro di Berlino uno degli argomenti più diffusi nel cinema quanto nei seminari e nei confronti sul destino politico del cittadino). Humphrey Bogart, sigarette ed alcool, entra nella storia del cinema grazie ad una delle sue più riuscite interpretazioni, quella appunto di Rick Blaine, e soprattutto grazie al sacrificio finale (la rinuncia alla sua donna e l’omicidio del maggiore Strasser) rimanendo legato soprattutto a quest’ultima sequenza, quella dell’aeroporto dove, avvolto nel suo impermeabile, affronta la nebbia (l’oscurità della frontiera, del destino e del futuro) e affronta la storia. A proposito del protagonista, il ruolo sarebbe dovuto andare a Ronald Reagan, poi futuro presidente degli States [i]. Niente è veramente sprecato in questo racconto, sorretto anche dagli occhi spesso languidi di una triste e confusa Ilsa (Ingrid Bergman) capace di minacciare con una pistola, ma in grado di convincere solo con le proprie lacrime (le lacrime di Rick invece erano gocce di pioggia su un biglietto d’addio alla stazione di Parigi). Il direttore della fotografia fu Arthur Edeson che, come nel precedente Il mistero del falco (1941) di John Huston, contribuì ad influenzare il cinema americano degli Anni Quaranta con la tecnica (vicina a quella dell’espressionismo tedesco) del low key lighting, dell’illuminazione dal basso. Il film, in realtà ispirato alla piece teatrale Everybody come to Rick’s scritta da Murray Burnett e Joan Allison (che però non fu mai portata in scena), ottenne tre premi Oscar: miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura. In Italia uscì solo nel 1945 e fu tagliato il personaggio del capitano fascista Tonelli e cambiati alcuni dialoghi [ii]. Sebbene gli venga riconosciuta una considerevole posizione di prestigio nel panorama cinematografico mondiale, la maggior parte della critica riconosce solo un’alchimia che ha portato fortuna ad un film altrimenti piatto nella definizione dei personaggi e soprattutto carico di topos cinematografici ai limiti del mieloso: è infatti la commistione perfetta tra il romanticismo del regista e la concretezza politica della sceneggiatura, tra l’interpretazione di Bogart e quella di Bergman, circondati da una selva di ottimi caratteristi, a rendere questo film “europeo” uno dei preferiti dal pubblico americano. Come spesso è accaduto ad altri classici del cinema (come per esempio Metropolis (1927) di Fritz Lang) anche di questo film ne è stata messa in circolazione una versione colorizzata. In un certo senso, l’amore tra Rick e Ilsa a Parigi, anticipa quello tra Paul e Jeanne (Marlon Brando e Maria Schneider) in Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, dove appunto una coppia si ama senza conoscersi, rinunciando dunque al proprio passato in favore di una libertà affettiva e sentimentale che mancava ad entrambi. Memorabile il pezzo musicale eseguito da Doodley Wilson (che interpreta il pianista Sam) As time goes by, così come l’intera colonna sonora (costruita sullo stesso tema). Woody Allen ne ha rifatto una specie di parodia con Suonala ancora Sam (1972), ma in realtà questo film è citato e copiato da un migliaio di pellicole successive.

 

 

Bucci Mario

[email protected]



[i] Paolo Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi

[ii] Morando Morandini. Dizionario dei film 2004. Zanichelli