Il
cantante di jazz. Alan Crosland. 1927. USA.
Attori: Al
Jolson, Warner Oland, May McAvoy, William Demarest, Otto Lederer
Durata: 89’
Titolo
originale: The jazz singer
New York. Ghetto
ebraico. Jackie Rabinowitz, figlio del cantore ebraico Rabinowitz, è scoperto
dall’amico di famiglia Yudleson a cantare in un saloon. Riportato a casa viene
preso a cinghiate dal padre e decide di scappar via. Anni dopo, e a tremila
miglia di distanza, Jackie Rabinowitz è diventato un promettente cantante di
jazz, che si presenta al pubblico con il nome di Jack Robin. Ad una sua
esibizione assiste la ballerina Mary Dale la quale si offre di fargli fare
carriera. In famiglia le cose non sono cambiate ed anche quando arriva una
lettera di Jack che li informa di aver trovato fortuna, il padre continua a
rinnegarlo di fronte alla sofferenza della madre. Durante uno spettacolo Jack viene
a sapere che Mary è stata contattata da un grosso teatro di New York e le loro
strade sembrano destinate a dividersi quando un giorno anche lui ottiene un
ingaggio dallo stesso teatro di Broadway. Il giorno del sessantesimo compleanno
del padre, Jack fa ritorno a casa offrendo un diamante alla madre e facendole
ascoltare quello che canta. All’arrivo del padre però è costretto nuovamente ad
andar via di casa. Da quel giorno il cantore Rabinowitz, colto da un attacco, è
costretto a riposare a letto. Il giorno della prima di Jack Robin coincide con
il giorno sacro per la religione ebraica e poiché il padre non può cantare alla
messa, Yudleson va a chiedere a Jack di sostituirlo. Il cantante di jazz si
rifiuta perché sa che quella è la serata più importante per la sua carriera. Yudleson
decide di tornare allora con la madre e di provarci di nuovo, ma Jack rifiuta
ancora, convinto da Mary e dall’impresario. Quella sera canta di fronte ai
parenti che alla fine capiscono che quello è il suo posto. Finito lo spettacolo
Jack va a casa a sincerarsi delle condizioni del padre. Mary e l’impresario si
mostrano contrari all’idea che egli canti alla funzione, ma alla fine Jack
decide di sostituire il cantore Rabinowitz. Ascoltando la sua voce, il padre
può morire tranquillo, mentre alla funzione sono presenti anche Mary e
l’impresario di Robin. Trascorso del tempo, Jack Robin è diventato una star del
jazz e ai suoi spettacoli siedono tra le prime file la madre e l’amico di
famiglia Yudleson.
Il cantante di jazz entra nella storia del cinema con prepotenza per essere stato il primo
film parlato (cantato sarebbe meglio dire). Realizzato nel 1927 dalla Warner
Bros. (che stava attraversando un difficile periodo economico), impose da quel
momento l’uso del vitaphone (incisione su disco) e dunque del sonoro,
aiutato soprattutto dalla musicalità cui si prestò questo primo esperimento. Il
merito, infatti, che il cinema e il pubblico accettarono il nuovo strumento fu,
infatti, tutto del cantante Al Jolson che grazie alle sue performance canore
fece apprezzare (e soprattutto rese più facile ed accessibile) l’acquisizione
da parte del pubblico del nuovo mezzo. Come dice molto bene e sinteticamente il
critico cinematografico Enrico Grezzi, Al Jolson (che nel film altro non fece
che rifare quello che presentava a Broadway) aprì per la prima volta un buco
sonoro nello schermo [i].
Rispetto proprio a questa novità, il regista disse “L’aggiunta della parola
fa uscire il film dal regno della pantomima e lo fa entrare in quello della
commedia” [ii]. È giusto però
dire anche che esistevano già degli esperimenti sonorizzati realizzati dalla
casa di produzione francese Gaumont, ma poiché questi erano non più lunghi di
un cortometraggio, fu proprio la durata del film di Crosland a determinarne la
sua importanza nel panorama mondiale. In realtà proprio in questa pellicola non
furono utilizzate le vere potenzialità del sonoro ed infatti, a parte le
suddette interpretazioni di Al Jolson, il prodotto è girato, pensato e
costruito come un classico film muto, con quindi un marcato accento nelle
interpretazioni e soprattutto l’uso delle didascalie per gli scambi delle
battute. Se poi bisogna analizzare anche la storia, non siamo di fronte ad un
grande prodotto, costruito poi senza troppo impegno su basilari regole
drammaturgiche di stampo religioso (quali il conflitto e la scelta) che si
saldano nel profitto del successo: ciò avviene nel finale in cui da un lato
Mary e l’impresario (uomini di spettacolo) assistono alla messa e dall’altro
lato la madre di Jack e Yudleson (uomini del ghetto ebraico) partecipano allo
spettacolo a Broadway. È insomma anche una sorta di manifesto autocelebrativo
del mondo dello spettacolo newyorchese (Jack che quando viene a sapere che farà
uno spettacolo a Broadway urla “Casa! Madre! Broadway!”) e del suo
legame storico (le cinque generazioni di cantori ebraici che precedono Jack
Robin) con la religione ebraica, cui a sua volta rivolge un gesto di
riappacificazione tra il profano senso dello spettacolo ed il religioso senso
delle funzioni. “Lo spettacolo deve andare avanti! – The show must go on!”
dice ad un certo punto il protagonista, ma non può raggiungere le più alte
vette del successo se dimentica le proprie origini, sembra aggiungere il
regista. Se tutto questo si aggiunge che con tal lavoro (bianco che si deve
truccare da nero) vengono in un certo modo rinnegati qualsiasi legami con la
cultura nera nella nascita del jazz si capisce bene che si ha a che fare anche
con una pellicola non certo tesa alla verità. Questo senso della storia però
non è originale nella realizzazione cinematografica, poiché si tratta di
un’opera basata sul racconto The day of Atonement di Samson Raphaelson
(prima di diventare film già piece teatrale). Dopo Al Jolson il cinema non
riuscirà più a fare a meno dei cantanti nelle proprie pellicole fino al
fenomeno Elvis Presley. Non furono però solo questi i meriti del film di
Crosland, ma anche quelli (sicuramente involontari) di elevare il senso delle
musiche nelle opere cinematografiche, abituando lo spettatore ad associare una
determinata composizione ad un determinato prodotto o scena più importante. Il
film di Crosland dunque fece emergere l’importanza della musica scritta apposta
per il film, nella stessa misura in cui spianò la strada ai dialoghi parlati. Il
film fu proiettato la prima volta il 23 ottobre 1927 e ottenne il premio Oscar
l’anno seguente. Alla prima del film era presente anche il regista Frank Capra
il quale ha detto a proposito “Le onde sonore di “Mammy” scatenarono un
terremoto, un terremoto che sconvolse il mondo del cinema dalle fondamenta. Lo
schermo, muto sino ad allora, aveva una voce! Hollywood tremò. Fu come se i
pazzi avessero occupato il manicomio” [iii]. Di questo film
ne son stati fatti due remake: Il cantante di jazz (1953) di Michael
Curtiz (inedito in Italia e che vide al montaggio Alan Crosland Junior) e Il
cantante di Jazz (1980) di Richard Fleischer con il cantante Neil Diamond.
Bucci Mario
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