L'âge d'or. Luis Bunuel. 1930. FRANCIA.
Attori: Gaston Modot, Lya
Lys, Caridad de Labardesque, Pierre Prévert, Max Ernst, Germaine Noizet, José
Llorens Artigas
Durata: 62’
Viene descritto il comportamento
dello scorpione prima che punga un topo conducendolo alla morte. Su una
spiaggia un bandito armato maiorchino vede un gruppo di alti prelati pregare.
Poco dopo giunge ad una cascina dove ci sono altri combattenti come lui. Il
gruppo, allarmato dall’arrivo di barche sulla costa, abbandona la cascina. Dalle
barche scendono alti funzionari delle diverse autorità con rappresentanti della
nobiltà. Sono giunti su quelle coste per mettere la prima pietra della futura
Roma, ma a turbare la sacralità del gesto è una coppia scoperta ad amoreggiare
e che viene divisa con la forza. Lui viene portato via da due uomini. Viene
fondata la Roma
imperiale che sostituisce al paganesimo la dottrina del Vaticano. Nel passaggio
da un’età all’altra rimangono solo gli aspetti più pittoreschi. L’uomo della
coppia è ancora accompagnato dai due uomini e di fronte ad una pubblicità
immagina la sua donna. La stessa nel frattempo ha uno scambio con la madre
prima di entrare nella propria camera per scacciare un’enorme vacca dal letto.
L’uomo, stufo di essere portato in giro, mostra un documento ai due che
dimostra a sua volta che egli è incaricato dal re a compiere una missione.
Prima di allontanarsi in taxi dà un calcio a un cieco. Poco dopo si presenta,
in compagnia di un vestito femminile, ad un sontuoso ricevimento dato dalla
famiglia della donna. Durante questo ricevimento, un guardiacaccia ammazza suo
figlio a colpi di fucile ed una cameriera muore per un’esplosione in cucina,
senza però che tutto questo turbi la serenità degli invitati. La madre della
donna gli offre da bere ma poiché sbadatamente lo macchia, lui la colpisce e
viene costretto ad allontanarsi. Prima di uscire l’uomo riesce ad indicare il
giardino alla donna e con le vi si apparta. Poco dopo anche gli ospiti vanno in
giardino per ascoltare l’esecuzione di un’orchestra. La coppia prova ad
amoreggiare ma viene ripetutamente interrotta fino all’arrivo del direttore
d’orchestra che la donna bacia. L’uomo si chiude allora nella stanza da letto
dalla quale finestra scaraventa via ogni cosa. Nell’inespugnabile castello di
Selliny quattro uomini si rinchiudono per compiere delle orge. Il più
discutibile di tutti è il Duca di Blangis, dalle sembianze di Gesù, che dopo
essere rientrato nel castello con una donna ricompare senza barba mentre sulla
croce si posano gli scalpi di altre donne.
L’amore e l’attrazione, in ogni
tempo, osteggiati dall’autorità, e contro di essa. Linea sottile per un film
che in realtà non ha una vera e propria storia ma che si compone di tante
situazioni ricreate per gettare scandalo, ma soprattutto per verificare le
capacità del cinema al servizio del movimento surrealista. L’age d’or infatti è un manifesto più riuscito (sonorizzato questa
volta) del movimento capeggiato fra gli altri proprio da Luis Bunuel e Salvador
Dalì, coppia che per questo progetto si è ancora riunita dopo l’esaltante
esperimento breve de Un chien andalou (1929). Ancora una volta
infatti sono presenti tutti gli elementi cari ad entrambi, carichi di
significati sottesi e di deliranti situazioni grottesche (il calcio al
barboncino e al cieco; l’omicidio del bambino; avversione contro la Chiesa) cui il movimento
surrealista non ha mai rinunciato. Provocazione discorsiva, ecco cos’è L’age d’or, un insieme di paradossali
immagini (il ricevimento con il carro; la vacca sul letto; gli scheletri dei
prelati sulla scogliera) al servizio di una relazione amorosa osteggiata,
simbolo del potere incombente che ha come origine la capitale della cultura
cattolica, Roma. Non sono troppo celati i riferimenti al Marchese De Sade, nel
finale quando si parla della torre e dei quattro aguzzini che praticano orge
con donne ritenute “meno che mosche”
(le stesse mosche che “vivono” sul viso di uno degli invitati) e tra i quali i
due autori decidono di inserire proprio la figura sacra di Gesù. C’è in questo
film la volontà di mostrare anche una sorta di autodistruzione della classe
operaia ormai mossa e animata dallo stesso pessimismo che intanto cresce in
quella borghese, ed una sorta di lusinga
delle tendenze masochistiche [i] invece
esclusiva della classe dirigente. Marx, De Sade e Freud sono dunque le
principali chiavi di lettura ed interpretazione di questa pellicola (lotta e
conflitto sociale; celebrazione degli istinti; realtà onirica e subcosciente). Più
politico del precedente esordio dunque, il film diventa simbolo per intere
generazioni di autori arrabbiati, spesso costretti ad usare il modello di Bunel
e Dalì per dire cose che altrimenti sarebbero state difficili da far passare. Sono
altresì presenti in L’age d’or tutti
gli elementi cari al regista spagnolo: conflitto borghese, istinto della morte
e dissacrazione dei valori. Fu infatti proprio per la potenza di questa
pellicola a suscitare non solo scandali in Francia. Finanziato dal visconte
Charles de Noailles (che rischiò per questo di essere scomunicato) fu
proiettato per solo sei giorni allo Studio 28 di Parigi, immediatamente scelto
come bersaglio di squadristi di destra (appartenenti alla Lega antiebraica ed
alla Lega dei patrioti) che lo devastarono, distruggendo anche le opere di
altri artisti lì esposte come quelle di Man Ray, Mirò, Salvador Dalì ed altri.
Pochi giorni dopo il prefetto Chiappe lo vietò appoggiato dall’intera stampa
nazionale francese e la pellicola fece ritorno nelle sale soltanto nel 1950 a New York e l’anno
dopo a Parigi. Come lo definì Henry Miller, non fu pazzo Bunuel a realizzare
questa pellicola, ma la società che egli descrisse in questo assurdo addentramento
fra le strutture preconcette sulle quali la maggior parte delle figure
autoritarie costruisce la propria posizione, consolidandola. Il film avrebbe
dovuto chiamarsi Le acque gelide del
calcolo egoista, parafrasando uno stralcio del Manifesto dei comunisti [ii].
Tale fu la portata di questo evento comunque che Breton e gli altri dedicarono
un apposito Manifesto surrealista che rivendicava l’amore folle come unico atto
di liberazione ed al tempo stesso di distruzioni della società borghese.
Bucci Mario
[email protected]