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Hero
Anno: 2003
Regista: Zhang Yimou;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Cina; Hong Kong;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


Hero

Hero. Zhang Yimou. 2003. CINA-HONG KONG.

Attori: Jet Li, Tony Leung, Maggie Cheung, Chen Daoming, Donnie Yen, Zhang Ziyi, Wen Jiang.

Durata: 96’

 

 

Cina. Duemila anni fa. Un uomo senza nome dopo aver eliminato tre capi che avevano attentato alla vita del re di Quin, riesce a farsi ricevere al palazzo giungendo a soli dieci passi da lui. Qui l’uomo racconta di come sia riuscito ad eliminare i cospiratori, ma il re non gli crede ed, in effetti, le cose sono andate diversamente. L’uomo senza nome, con la collaborazione di Spada Spezzata, Neve Che Vola e Cielo, i tre che prima affermava di aver eliminato, ha creato questa messinscena per poter chiedere al re di Quin di diventare imperatore della Cina, nel rispetto dei sudditi ed evitando una guerra secolare. Costretto dalla sua posizione di re, il futuro imperatore fa ugualmente giustiziare l’uomo senza nome.

Prendendo spunto da una leggenda cinese, cui si deve sempre partire per mettere in scena un wu xia pian, genere classico del cinema orientale ed in special modo cinese, Zhang Yimou ne approfitta per raccontare dal lato opposto una storia dai forti connotati nazionalisti ed imperialisti, cioè non tramite l’esaltazione della forza e del potere ma scegliendo invece di mettere in primo piano le vicende di un uomo (e di un gruppo di uomini) pronti al sacrificio pur di ottenere la pace sul proprio territorio. Ad un re solitario e temuto il regista oppone quindi una figura sacra (il funerale finale) alla quale il potere non riesce a sottomettersi per innate ragioni, ma che probabilmente (poiché è da qui che parte la storia dell’impero cinese) è sì forte da lasciarne il segno. Dotato di una fotografia superba (ed autocelebrativa viste le attitudini del regista a comporre l’immagine che passa sullo schermo) Hero inizia male e finisce decisamente meglio, tra stanchi combattimenti ed apoteosi dell’immagine, tra melodrammi sentimentali e metafore d’ampio respiro (l’arte della spada come l’arte della scrittura), ed un rispetto della narrazione superiore a molte pellicole di questo genere apparse di recente nelle sale occidentali. Se è vero che da un lato esiste una sovrabbondanza dell’immagine composta, una sontuosità rara, bisogna invece riconoscere alla storia un’asciuttezza ricercata che ripercorre la stessa struttura di Rashomon (1950) di Akira Kurosawa (l’impossibilità di raggiungere la verità, in Hero marcata dalla scelta dei differenti colori) e che sa anche prendere spunto dal teatro classico (la figura del coro nel finale). Molto bravi tutti gli attori (un cast eccellente fatto di vere stars orientali), meno belle le coreografie rispetto a quelle cui il genere ci ha abituati, il film ha esordito con la presentazione al festival di Berlino ed ha concluso il suo percorso con una nomination agli Oscar come miglior film straniero.

 

 

Bucci Mario

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