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Ascensore per il patibolo - Ascenseur pour l'échafaud
Anno: 1957
Regista: Louis Malle;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


Ascensore per il patibolo

Ascensore per il patibolo. Louis Malle. 1957.FRANCIA.

Attori: Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Georges Poujouly

Durata: 92’

Titolo originale: Ascenseur pour l'échafaud

 

 

Julien Tavernier e Florence Carala, moglie di un industriale che produce armi e per il quale Julien lavora, sono amanti ed hanno organizzato il finto suicidio del marito di lei. Un mattino, infatti, arrampicandosi con una fune fino al piano in cui si trova l’ufficio dell’industriale, Julien uccide Simone Carala con una pistola. Terminato l’orario di lavoro, una volta in strada si accorge di aver dimenticato la fune con la quale è salito fino all’ufficio del suo capo e torna nello stabile per toglierla ma rimane bloccato nell’ascensore poiché il guardiano, sicuro che non ci sia più nessuno, ha staccato la luce generale. Una fioraia ed il suo ragazzo bullo rubano l’auto di Julien e a sera, mentre quello è bloccato in ascensore, si macchiano del delitto di due turisti tedeschi. La stessa notte Florence è in giro per le strade alla ricerca di Julien, con il quale aveva appuntamento, e che crede invece con la fioraia in giro da qualche parte. Al mattino i giornali riportano la notizia dell’omicidio dei due tedeschi incolpando Julien Tavernier, del quale è stata trovata l’auto, il cappotto e la pistola. S’incarica di trovare l’uomo l’ispettore Cherrier il quale chiede che la polizia vada a rovistare nel suo ufficio. Riattivata la luce generale nel palazzo, Julien intanto può uscire ma, entrato in un bar per fare colazione, è denunciato ed arrestato, mentre la polizia trova il cadavere di Carala. Florence, per scagionare Julien, va a casa della fioraia, che nel frattempo ha cercato di suicidarsi con il suo ragazzo, e dopo averli accusati entrambi d’omicidio, insegue lui mentre torna al motel per recuperare una piccola macchina fotografica che apparteneva a Julien e che avevano usato la sera prima con i due tedeschi. Nel laboratorio fotografico del motel ad attenderlo c’è Cherrier, che lo arresta, e che poco dopo arresta anche Florence per l’omicidio del marito, tramato e realizzato assieme a Julien.

Tratto dall’omonimo romanzo di Noel Calef, Ascensore per il patibolo è al cinema un triangolo perfetto costruito su tre punti principali: Jeanne Moreau, Maurice Ronet e Louis Malle (i loro tre nomi, infatti, aprono i titoli di testa). Pur trattandosi, infatti, di un soggetto solido, ed una sceneggiatura ancor più resistente (scritta dal regista con i dialoghi di Roger Nimier), è proprio grazie al lavoro di questo trio che il film è entrato di diritto nella storia del cinema, ed in quella del genere noir in particolare. Su tutto e tutti loro tre appunto: lo sguardo folle, inquieto di Jeanne Moreau che sola e di notte va in cerca del suo uomo per le strade, stringendosi nel cappotto, e poi quel primo piano conclusivo, in cui rimpiange la vita che se ne sta per andare, prossima ad una condanna; il silenzio di Maurice Ronet, amante vittima del destino e della passione focosa di Florence, ed infine lui, Louis Malle, quasi esordiente, che dosa con cura ogni inquadratura, ogni parola, consegnando il giusto tempo a tutto, senza tralasciare una realtà politica difficile, come quella post-coloniale che la Francia stava affrontando, tra Algeria e Indocina, ed alla quale vicenda tutti i personaggi sono collegati. Per loro, infatti, nessuna pietà sembra dire il regista: coloro che alla guerra sono direttamente collegati muoiono ammazzati (l’industriale produttore d’armi Carala ed il tedesco dalla comicità frizzante “Non ve lo abbiamo tolto tutto lo champagne durante la guerra allora!”), coloro che millantano la guerra sono condannati a morte (i due ragazzi che mentono di essere la coppia Tavernier) e per coloro che anche se hanno dato l’impressione d’essere contrari (Tavernier che dice al suo capo “Abbia rispetto della guerra lei, che almeno ci guadagna da questa”) sono comunque accusati e condannati a venti o dieci anni, perché colpevoli d’omicidio (la guerra è solo un omicidio collettivo). C’è un totale rifiuto dunque per tutti questi personaggi, tutti protagonisti di un destino che ha scelto la macabra soluzione di una condanna in ogni modo dura da accettare, e che comunque è sempre mortale (la disperazione di Florence nel finale, anche se non sarà condannata alla pena capitale). Ciò che accade invece alla figura di Tavernier ha il sapore hitchcockiano del destino beffardo, quel malsano accanimento contro il quale nemmeno un eroe di guerra, quale Tavernier potrebbe rappresentare, può far nulla: la sua strada è segnata dal momento in cui riattacca il telefono dopo aver deciso di uccidere Carala. Ancora, il rapporto tra la coppia d’amanti, sublime, intenso (fino alla morte), folle e disperato, ed al quale nessuno dei due vuole rinunciare. Al loro opposto, la coppia d’amanti imbecilli e suicidi, stupidi, distanti (lei che pensa a Tavernier e lui che se ne infischia di lei), nemmeno capaci di morire l’uno con l’altra, mentre mentono di essere altre due persone, una coppia che si ama veramente. Detto questo, un breve accenno allo spazio metacinematografico, dove il tema della fotografia come rivelatrice di verità, asseconda la possibilità, attraverso istanti impressi su pellicola che celano segreti e svelano realtà nascoste, che un rullo d’immagini sia capace di mischiare più vite, dando loro un percorso, un senso, ed una fine: il cinema. È questo anche uno degli aspetti più interessanti del film, la soluzione nell’immagine impressa. Con questo film, ma soprattutto con il seguente Les amants (1958) il regista fu apprezzato dai suoi colleghi ed inserito nella grande ondata del cinema francese che divenne presto la Nouvelle Vague. Si aggiunga a tutto ciò la bellissima resa fotografica di Henry Decae e le musiche di Miles Davis (improvvisate durante la registrazione), per avere la certezza di aver a che fare con un vero pezzo di cinema noir. Il film ottenne il Premio Delluc nel 1957.

 

 

Bucci Mario

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