Flesh.
Paul Morrissey. 1968. U.S.A.
Attori: Joe Dallesandro, Geraldine Smith, Barry Brown,
Candy Darling, Jackie Curtis, Patti D'Arbanville
Durata: 105’
New York. Il biondo e bello John
viene svegliato da sua moglie che gli chiede, come favore, di procurarle 200$
per far abortire la sua amica rimasta incinta. John decide allora di fare
qualche marchetta. Prima va con un giovane timido, poi con un anziano patito di
statue greche, poi da una ragazza che frequenta due trans, ed infine da un
vecchio compagno di palestra. Quando torna a casa si mette a dormire nello
stesso letto con sua moglie e l’amica incinta.
Costato tremila dollari e
prodotto da Andy Warhol, Flesh è uno
di quei film che soprattutto grazie alla forza che lo circonda e lo ha generato
è riuscito a passare indelebile il vaglio del tempo. Buttato giù od osannato
dalla critica, il film, come la maggior parte dei lavori di Morrissey, gode di
una genialità spicciola e naturale come poche altre pellicole. Scritto di
getto, senza eccessivo impegno drammaturgico (la moglie al mattino gli chiede
di fare marchette per un’amica rimasta incinta) il film pedina il personaggio
di John (Joe Dallesandro) in questa sua giornata tipo, sonnacchiosa e
distaccata, disillusa ma comunque gentile, ambigua ma schietta, e che senza
risposte si chiude su se stessa (il film inizia e finisce con il p.p.p. del
protagonista). Dotato di un montaggio interessante, soprattutto per l’epoca in
cui fu girato (e che oggi rispetterebbe la maggior parte delle regole del Dogma, il manifesto cinematografico che
ha reso celebre il regista danese Lars von Trier) e caratterizzato da
un’assoluta mancanza di commento musicale, il film si poneva l’obiettivo di
scandalizzare, rompere le regole, descrivere l’eccesso, scendendo nei
bassifondi di una New York ancora poco raccontata (e questa fu una delle
principali originalità del film) e da una certa cinematografia cercava di stare
lontana. Sebbene l’ispirazione sia stata ufficialmente riconosciuta al film Una giornata balorda (1960) di Mauro Bolognini
(al quale collaborarono Moravia e Pasolini), si possono trovare non poche
affinità tra questa pellicola e Un uomo
da marciapiede (1969) di John Schlesinger, che descrive (con vero cinema)
il percorso marchettaro di un provinciale nella grande mela. Ebbene, i film in
realtà si potrebbero considerare uno fratello dell’altro, poiché il circuito
nel quale andarono a pescare fu lo stesso (vedasi la scena della festa nel film
di Schlesinger, dove c’è tutta la
Factory di Andy
Warhol) anche se i risultati ottenuti furono evidentemente differenti. La
capacità narrativa di Morrissey è ancora molto limitata in questa pellicola, ma
è comunque intelligente la ricostruzione dei dialoghi, tra bozze di
sceneggiatura ed improvvisazioni (la maggior parte) spesso vuoti di fatti ma
ricchi di umane condizioni che sfiorano semplicemente temi borghesi quali il
matrimonio o l’omosessualità (stiamo parlando dei dialoghi) lasciando che la
promiscuità o la differenza emerga dal contesto narrativo e non dalle battute
dei personaggi, che altrimenti sarebbero assolutamente didascaliche. Fu questa
una delle forze del regista, riuscire ad allontanarsi dal suo progetto e farlo
vivere attraverso tutta la sua spontaneità, assentandosi cioè come
regista\autore, rifiutando così un modello cinematografico e narrativo
omologato ed artefatto. Malgrado gli sforzi del movimento che accompagnò
l’uscita di questa pellicola (che girò per le sale appunto nel 1968),
considerando la condizione di arretratezza culturale di alcuni stati
dell’America (e di alcuni pensieri borghesi duri a cedere), il film può
considerarsi ancora attuale e provocatorio. Fu distribuito nelle sale italiane
solo nel 1978, con i dialoghi tradotti da Alberto Arbasino [i],
quando in America era rimasto in cartellone al Garrick Theater, sulla Bleecker,
dall’ottobre del ’68 all’aprile del ’69 [ii],
trasformando Joe Dallesandro in attore e piccola star del circuito underground.
Bucci Mario
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