Blood feast. Herschell Gordon Lewis. 1963. USA.
Attori: William
Kevin, Mal Arnold, Connie Mason, Lyn Bolton, Scott H. Hall.
Durata: 63’
Una donna entra nella vasca da
bagno. Un uomo s’introduce nell’appartamento e la uccide, asportandole una
gamba. Titoli. La signora Fremont, per organizzare una festa particolare alla
figlia Suzette, si rivolge al signor Fuad Ramses, gestore di un negozio di
alimentari egiziano. La signora non sa che quell’uomo è lo psicopatico
assassino che da due settimane sta massacrando ragazze mutilandole. La polizia
brancola nel buio fino a che una vittima, poco prima di morire, non fa il nome
di Ishtar, la dea dell’amore e della bellezza egiziana, alla quale i sacerdoti
una volta immolavano giovani vergini. Il poliziotto Pete Thornton, fidanzato di
Suzette, collega le cose grazie al fatto che frequenta un corso di cultura
egizia. Intervenendo durante la festa riesce a salvare proprio Suzette ed a
mettere in fuga il folle Fuad il quale, giunto in una discarica, si nasconde in
un camion per la raccolta dell’immondizia, rimanendo triturato.
Considerato non a torto uno dei
film che hanno dato vita al genere splatter,
Blood feast si muove tentoni in un
ambito ancora ambiguo, sebbene proceda su sentieri all’apparenza ben delineati.
Mettendo insieme sesso e morte (rappresentati proprio dalla dea egizia), eros e
thanatos, infatti, Lewis dà via all’exploitation, facendo quindi dell’eccesso
un carattere essenziale dei film di genere, ma perdendosi in una
rappresentazione che cavalca il confronto tra culture, distruggendone una,
quella egizia, fino a renderla un vero e proprio rifiuto (il finale nel camion
dell’immondizia). Infatti, è importante tener conto che i massacri, così come
la religione pagana di natura egiziana, vengano contrapporti ad una cultura
vergine (rappresentata dalle vittime) e comunque di matrice cattolica (il
poliziotto che si affida a Dio) che alla fine vince sul modello antico ed
esotico. Se non razzista dunque, per lo meno il film non esalta l’incontro
delle differenze. Da un punto di vista cinematografico invece siamo di fronte
ad un’assoluta mancanza di linguaggio (abuso d’inquadrature ferme e di natura
teatrale) che guarda, in qualche scelta, all’espressionismo tedesco: il
dettaglio degli occhi di Fuad e la sua camminata zoppa, composta di movimenti
lenti e innaturali, elementi che avevano caratterizzato il sonnambulo de Il gabinetto del dottor Caligari (1920)
di Robert Wiene. Importante per la nascita del genere la stretta pan. dx sul corpo della vittima Trudy
Sanders, massacrata a colpi di frusta, e sulla quale il regista si sofferma più
su ogni altro massacro.
Bucci Mario
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