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Blood feast
Anno: 1963
Regista: Herschell Gordon Lewis;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 30-11-2004


La grande guerra

Blood feast. Herschell Gordon Lewis. 1963. USA.

Attori: William Kevin, Mal Arnold, Connie Mason, Lyn Bolton, Scott H. Hall.

Durata: 63’

 

 

Una donna entra nella vasca da bagno. Un uomo s’introduce nell’appartamento e la uccide, asportandole una gamba. Titoli. La signora Fremont, per organizzare una festa particolare alla figlia Suzette, si rivolge al signor Fuad Ramses, gestore di un negozio di alimentari egiziano. La signora non sa che quell’uomo è lo psicopatico assassino che da due settimane sta massacrando ragazze mutilandole. La polizia brancola nel buio fino a che una vittima, poco prima di morire, non fa il nome di Ishtar, la dea dell’amore e della bellezza egiziana, alla quale i sacerdoti una volta immolavano giovani vergini. Il poliziotto Pete Thornton, fidanzato di Suzette, collega le cose grazie al fatto che frequenta un corso di cultura egizia. Intervenendo durante la festa riesce a salvare proprio Suzette ed a mettere in fuga il folle Fuad il quale, giunto in una discarica, si nasconde in un camion per la raccolta dell’immondizia, rimanendo triturato.

Considerato non a torto uno dei film che hanno dato vita al genere splatter, Blood feast si muove tentoni in un ambito ancora ambiguo, sebbene proceda su sentieri all’apparenza ben delineati. Mettendo insieme sesso e morte (rappresentati proprio dalla dea egizia), eros e thanatos, infatti, Lewis dà via all’exploitation, facendo quindi dell’eccesso un carattere essenziale dei film di genere, ma perdendosi in una rappresentazione che cavalca il confronto tra culture, distruggendone una, quella egizia, fino a renderla un vero e proprio rifiuto (il finale nel camion dell’immondizia). Infatti, è importante tener conto che i massacri, così come la religione pagana di natura egiziana, vengano contrapporti ad una cultura vergine (rappresentata dalle vittime) e comunque di matrice cattolica (il poliziotto che si affida a Dio) che alla fine vince sul modello antico ed esotico. Se non razzista dunque, per lo meno il film non esalta l’incontro delle differenze. Da un punto di vista cinematografico invece siamo di fronte ad un’assoluta mancanza di linguaggio (abuso d’inquadrature ferme e di natura teatrale) che guarda, in qualche scelta, all’espressionismo tedesco: il dettaglio degli occhi di Fuad e la sua camminata zoppa, composta di movimenti lenti e innaturali, elementi che avevano caratterizzato il sonnambulo de Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene. Importante per la nascita del genere la stretta pan. dx sul corpo della vittima Trudy Sanders, massacrata a colpi di frusta, e sulla quale il regista si sofferma più su ogni altro massacro.

 

 

Bucci Mario

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