L’uomo
senza sonno. Brad
Anderson. 2004.
SPAGNA.
Attori: Christian
Bale, Jennifer Jason Leigh, Aitana Sànchez Gijòn, Michael Ironside,Craig
Stevenson
Durata: 90’
Titolo
originale: The machinist
Trevor Reznik tenta di buttare a
mare un tappeto nel quale è avvolto un cadavere. Un faro lo illumina ed una
voce di uomo gli domanda chi è? Da quel momento in poi Trevor scava nella sua
memoria e cerca di capire perché da quasi un anno non riesce a prendere sonno.
Uno strano figuro, grosso, con gli occhiali da sole e vestito con una giacca di
pelle nera sembra ossessionarlo, anche sul posto di lavoro, in una fabbrica,
dove Trevor si rende causa di un incidente ad un collega. Anche la relazione
abituale con una prostituta sembra sfuggirgli di mano, perché secondo lui sono
tutti d’accordo, sono tutti complici di un complotto che lo vuole far
impazzire. Ogni giorno però, Trevor si rifugia e si rilassa in un bar
dell’aeroporto dove ad ascoltarla c’è sempre la solita barista. Un giorno
Trevor riesce anche ad uscire con lei, accompagnando il figlio di quella al
luna park, dove il piccolo purtroppo è colto da un attacco epilettico
all’uscita del tunnel dell’orrore. Tutto va storto nella vita di Trevor e tutto
contribuisce a non farlo dormire e lo riduce ad un mucchio d’ossa. Trevor è
esausto, distrutto e consumato. È nervoso, ma quando si accorge che nel tappeto
che stava srotolando non c’è niente capisce che non può più nascondere il
rimorso che non lo fa dormire da un anno. È un pirata della strada Trevor, ed
ha finalmente deciso di consegnarsi alla polizia.
Davvero singolare il lavoro di
questo regista. Stampato in quasi-seppia,
il film affronta molto bene il tema della colpa e del rimorso scavando, è
proprio il termine giusto, nel dolore e nella frustrazione di un protagonista
(il Christian Bale di American psycho
(2000) di Mary Harron) incredibilmente in parte, forse un po’ troppo sulla scia
di Ralph Fiennes in Spider (2002) di
David Cronenberg, ma comunque molto efficace e soprattutto tetro e credibile.
Trevor è un criminale, ha investito un bambino involontariamente, e non si è
fermato a prestargli soccorso. Da un anno dunque è un pirata della strada,
perché è fuggito dopo l’incidente. Ha scelto la fuga di fronte al destino, e
vive con il rimorso (l’uomo nero che lo segue) di avere una vittima sulla
coscienza. Perché non è capace di accettare le cose come il destino le ha
messe, Trevor rinuncia a se stesso, a come era prima, simpatico con i compagni,
gentile con le donne, professionale sul lavoro. Trevor è condotto dalla sua
irresponsabile paura alla follia. Raggiunto il delirio, il ragazzo prova
l’ultimo gesto, disperato, di uccidere il senso di colpa (il cadavere che
vorrebbe far sparire) ma si sa, il senso di colpa muore solo con il colpevole.
Per quasi tutta la prima parte della pellicola, è molto interessante anche
vedere come il regista abbia ben ricreato una situazione già di per se
frustrante come l’officina, per partire già da un contesto di per se difficile
e che altro non fa che buttare sempre più giù nel fosso il personaggio di
Trevor. Interessante il montaggio, anche se derivativo di uno stile
confusionale alla Memento (2000) di
Christopher Nolan, un po’ scontato almeno nella scelta di partire con la fine,
ma alla fine efficace a dare allo spettatore diverse possibilità (tutte false)
di soluzione. The machinist, questo
il titolo originale, è un verme tipicamente kafkiano, intriso di pessimismo
alla Dostoevskij, destinato all’ammissione della propria colpa attraverso un
percorso tutto interiore. C’è molto di Roman Polanski in questo film e anche
tanto di Alfred Hitchcock, in questo accanimento sul protagonista, in questo
piegarlo agli eventi. Visto da un’altra angolatura, il film è un perfetto
allegato per una lezione civica: fumare fa male, tanto meno in macchina dove la
prima distrazione può causarti un maledetto ed insopportabile senso di colpa.
Il film comunque rimane, anche alla luce di questa banale esemplificazione,
interessante e meno scontato di quanto possa sembrare.
Bucci Mario
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