Two sisters. Kim Jee Woon. 2003. COREA DEL SUD.
Attori: Kap-su Kim, Jung-ah Yum, Su-jeong Lim, Geun-yeong Mun
Durata: 115’
Titolo
originale: Janghwa, Hongryeon
In un ospedale psichiatrico un
medico chiede ad una sua giovane paziente di raccontarle come sono andati i
fatti… Due sorelle, Su-mi e Su-yeon, fanno
ritorno in una casa di campagna dove hanno trascorso la loro infanzia. Ad
attenderle c’è Eun-joo, la
matrigna con la quale le due ragazze non riescono ad andare d’accordo. La donna
ha, infatti, sostituito nella famiglia la madre naturale delle due sorelle,
morta suicida, e vive al fianco del padre, distratto e spesso assente da casa.
La casa sembra posseduta dai fantasmi, compreso quello della madre morta che
appare alle due sorelle terrorizzandole. Tra le ragazze e la matrigna i
rapporti peggiorano con il trascorrere dei giorni e con l’accrescersi dei
ricordi delle prime fino a che il padre, ormai distrutto dalla situazione, non
è costretto a chiedere aiuto di nuovo ai medici. In realtà Su-mi non ha una
sorella e non ha nemmeno una matrigna: è pazza, e deve essere rimessa in
terapia nella clinica psichiatrica.
La storia, non originale, prende spunto da un’antica fiaba coreana (“Janghwa,
Hongryeon” - “Fiore di rosa, Loto rosso” - come recita difatti il titolo
originale del film) più volte portata sullo schermo (la prima volta nel 1925) e
che tratta in sostanza del quieto rapporto famigliare incrinato dall’ingresso
di un’estranea nella relazione tra i genitori. Two sisters è quindi una
storia di traumi infantili che non si sottrae alla tendenza che da quasi sei,
sette anni si diffonde, a partire proprio dal cinema orientale, di scegliere
l’infanzia come luogo dove si concretizzano e sviluppano le paure più
angoscianti. È questo il filone nel quale Two sisters s’inserisce, ricco
di pellicole giapponesi, coreane e cinesi, che guardano al fanciullo (secondo
la migliore tradizione fiabesca) come oggetto catalizzatore dei comportamenti
malvagi degli adulti e come soggetto attivo in grado di produrre (ed a volte
concretizzare) veri e propri fantasmi dell’infanzia. Nel caso specifico di Two
sisters, ciò che l’inconscio della ragazza nasconde e cerca di sopprimere è
il trauma di una quiete famigliare interrotta bruscamente e nei quali
meccanismi subentra una donna ad un’altra, una madre estranea (raccontata quasi
come fosse una strega) ad una madre naturale. Questo crea in lei un
allontanamento dalla figura materna, ed un disturbo di comprensione del mondo
femminile (anche un episodio come quello delle mestruazioni è vissuto come
trauma) e che la porta a viversi una sorella al fianco, alter ego delle sue
paure e oggetto delle persecuzioni della matrigna. Altra caratteristica che
accomuna questa pellicola ad una tendenza generale del cinema horror orientale,
è la scelta di personaggi femminili sempre più energici e partecipi, che
diventano protagoniste vere dei racconti mentre gli uomini diventano distratti,
assenti, preoccupati per la carriera e distanti dalla vita privata dei figli.
Facendo riferimento invece alla realizzazione della pellicola, siamo di fronte
ad un discreto prodotto, rarefatto e raffinato, che inchioda lo spettatore alla
sedia senza niente di effettivamente nuovo, ma con un’estetica davvero rara per
una pellicola di questo genere. Uso del colore ed estetica dei movimenti della
m.d.p. fanno apprezzare il film, infatti, distraendo il pubblico da alcuni
passaggi un po’ contorti della narrazione (il sacco che lei prende a bastonate
o quando la ragazza intuisce d’essere anche la proiezione della matrigna),
sfruttando le immense potenzialità del montaggio e del sonoro. Anche qui esiste
comunque una tendenza narrativa sviluppatasi molto di più negli anni più
recenti, fatta di un continuum vuoto e intangibile nel quale sono
inseriti fotogrammi che hanno un alto potere destabilizzante ed ai quali si
associa un effetto sonoro il più delle volte di livello più alto rispetto alla
narrazione e comunque di natura differente da quello d’ambiente. Vale
sicuramente la pena sottolineare comunque l’interpretazione dell’attrice
Jung-ah Yum, la matrigna, capace di rendere il suo personaggio credibile
oltre le righe. Quiete borghese disturbata, il ramo medio-alto della società
sudcoreana è ad un passo da una crisi di nervi.
Bucci Mario
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